Un recente spot di un noto marchio del commercio elettronico riassume meglio di ogni saggio di economia a che punto siamo arrivati. È la fase ultima del consumismo: non si promuove più un prodotto, una catena o un intero segmento, si promuove semplicemente l’acquisto furioso. Vi servirà pure qualcosa: un tosaerba, un cavatappi, la carta igienica? Bene, venite da noi.
Gli oggetti di cui ci circondiamo finiscono per essere solamente delle merci, ma si ha la schiacciante sensazione che la vita stessa sia divenuta un articolo come gli altri. Valgo di più se possiedo una bella casa, se ho un lavoro di successo, se guido un’automobile prestigiosa, se vesto abiti di marca.
Ogni fase della nostra esistenza – dalla venuta al mondo all’estremo saluto – tende a essere connotata e influenzata dalla forza crescente del mercato. Tutto ormai sembra destinato a essere acquistato, consumato e gettato. Magari poi si ricicla.
Qualcuno propone ancora di discernere tra la spazzatura fatta per essere consumata in fretta e gli oggetti ben fatti che durano nel tempo. Temo che anche questo distinguo sia un inganno. Nella fabbrica dell’uomo perennemente indebitato per soddisfare desideri voluttuari non c’è più spazio per simili differenze. La sola regola che conta è: lavoro, guadagno, spendo.
Saper dare un valore alle cose oggigiorno significa innanzitutto imparare a non desiderarle. Il non-uso, praticato con consapevolezza e come libera scelta, non come rinuncia sofferta, è il solo modo per non diventare noi stessi un prodotto.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com