Prosegue con successo il progetto Life M.I.R.CO. Lupo avviato nel gennaio 2015 nel Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano allo scopo di assicurare migliori condizioni di conservazione per il lupo italiano che, come sappiamo, non gode della simpatia di tutti. Comunque sia, temuto o gradito, il lupo ha ripopolato l’Appennino da Sud a Nord ed è in ulteriore espansione, come dimostrano anche i dati raccolti dal Wolf Apennine Center (WAC) del Parco che ha dotato alcuni individui di radiocollare. Grazie a questo sistema satellitare, infatti, è stato possibile dimostrare che non solo i lupi sono in grado di spostarsi di oltre 1000 km in meno di un anno, ma che dall’Appennino possono raggiungere la Francia, stabilirsi sulle colline e persino in pianura, dove di notte, protetti dall’oscurità, vagano nei campi. A seguito di questa diffusione, però, è aumentato anche il rischio di incidenti nonché la preoccupazione di una parte dell’opinione pubblica, spesso ingiustificata, ed è probabilmente cresciuta la possibilità di ibridazione tra lupo e cane, fulcro del progetto M.I.R.CO. Lupo.
Cane e lupo sono sottospecie della stessa specie, Canis lupus, e non solo possono accoppiarsi, ma anche generare prole fertile. Tale fenomeno rappresenta una grave minaccia per il lupo in quanto il suo patrimonio genetico, frutto di una selezione naturale durata milioni di anni che l’hanno reso perfettamente adatto alla vita selvatica, va a contaminarsi con geni provenienti da un animale dall’origine molto più recente, selezionato in gran parte dall’uomo attraverso il processo di addomesticazione. Il rischio, nel tempo, è che le caratteristiche genetiche del lupo vadano perse per sempre con conseguenze imprevedibili perché non è possibile stabilire quali cambiamenti morfologici, fisiologici e comportamentali svilupperebbero gli animali. Per questo i ricercatori del WAC, in collaborazione con il Parco nazionale del Gran Sasso Monti della Laga, partner del progetto, stanno lavorando per verificare la presenza di ibridi sul territorio e la loro percentuale. Attualmente, secondo una stima relativa al territorio di competenza, si ritiene che l’ibridazione interessi il 20-30 per cento della popolazione locale, ma su scala nazionale non esistono dati e il fenomeno potrebbe essere sotto o sovrastimato.
Per ridurre la diffusione di esemplari ibridi il WAC ha messo a punto un sistema incruento basato su cattura, sterilizzazione e rilascio. Le trappole, la cui esca è costituita da feci di lupo, vengono posizionate in zone frequentate dai lupi e quando un esemplare ne rimane imprigionato (fatto che non accade con molta facilità), la squadra dei ricercatori, avvertita da un rilevatore collegato alla trappola, interviene prontamente sul posto sedando l’animale per analizzarlo. Se dalle prime osservazioni l’individuo mostra caratteristiche fenotipiche sospette (anche questo non è facile da stabilire e spesso lupi apparentemente perfetti si sono poi rivelati ibridi e viceversa) viene trattenuto il tempo necessario per ricevere i risultati delle analisi. Esaminando circa 40 marcatori genetici i laboratori identificano gli ibridi fino alla terza generazione anche se visivamente l’impronta “canina” è minima. A volte, invece, l’esame è solo una conferma di caratteristiche già evidenti, come accaduto nel caso di un lupo ibrido che abbaiava proprio come un cane. Una volta accertata l’ibridazione l’esemplare viene sterilizzato e liberato al fine di non destrutturare il branco d’origine. In questo modo anche se l’ibrido dovesse raggiungere il ruolo di dominante non potrà generare prole e diffondere i suoi geni “contaminati”. Il primo passo per ridurre l’ibridazione, tuttavia, è limitarne la causa, ossia la presenza di cani vaganti e incustoditi, lasciati liberi di addentrarsi nel territorio dei cugini selvatici. Così facendo, infatti, i cani non solo mettono a rischio se stessi – la predazione sui cani è un fenomeno in crescita – ma, come abbiamo visto, l’intera specie lupo. I cani pastore sono tra quelli che con più facilità entrano in contatto col predatore generando talvolta conflitti, o al contrario relazioni troppo “amichevoli”. Un maggior controllo dei cani di proprietà nelle aree rurali, limitrofe a boschi e foreste rappresenta, quindi, la base per la conservazione della specie più amata e odiata del regno animale.
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