La tartaruga marina Caretta caretta è la specie più comune del Mediterraneo ma anche la più soggetta ai pericoli costituiti dalle eliche delle imbarcazioni, dalle reti abbandonate in mare che continuano “a pescare”, da lenze e ami fluttuanti e sui fondali, e soprattutto dalle plastiche galleggianti che questi rettili scambiano per meduse e altri organismi di cui si nutrono, soffocandosi. Per questo la Caretta caretta è inserita tra le specie vulnerabili nella lista rossa dell’IUCN delle specie protette.
Le tartarughe marine sono diffuse in tutto il Mediterraneo che attraversano in lungo e in largo per alimentarsi e per tornare ogni anno, nel caso delle femmine, sulle spiagge dove depongono le uova. In Italia i siti di nidificazione sono ormai molto limitati a causa dal disturbo umano causato dale attività costiere e dal turismo di massa. Per questo alcune spiagge “storiche” per la nidificazione sono oggi protette, come l’oasi faunistica di Vendicari a Noto. Negli ultimi anni, tuttavia, il numero dei nidi di Caretta caretta risulta in aumento e nell’estate del 2016 Legambiente ne censiti 58 siti, il che rappresenta sicuramente una stima parziale. Ogni nido può contenere oltre 100 uova anche se non tutte si schiudono e, comunque, dopo la nascita pochissime tartarughine arrivano all’età adulta.
Un altro recente studio, invece, condotto per otto anni dall’Università di Pisa in collaborazione con il Centro per la conservazione delle tartarughe marine di Grosseto ha preso in esame gli areali frequentati da questa specie per valutare quelli di maggior affluenza. Per scoprire le preferenze delle tartarughe, gli etologi dell’ateneo toscano hanno applicato una piccola trasmittente sul carapace di otto individui adulti di Caretta caretta monitorando i loro spostamenti fino al momento del distacco dell’apparecchiatura. Dai dati è risultato che il luogo più amato dai rettili nell’area compresa tra la Toscana, la Sardegna, la Campania, la Calabria e la Sicilia era il Golfo di Napoli. Per gli scienziati si tratta di un importante risultato sia per poter attuare concrete misure di tutela dell’area, sia perché i dati smentiscono la preferenza delle tartarughe per i fondali poco profondi. Sembra, infatti, che gli animali seguiti sostassero spesso nei dintorni di montagne sottomarine dove le cime si trovano a decine o centinaia di metri di profondità, comunque in acque profonde. Evidentemente, quindi, questi animali non si nutrono soprattutto di organismi di fondale come si credeva ma si adattano anche a cacciare in acque pelagiche altri tipi di organismi.
L’importanza dei centri di recupero
Le tartarughe monitorate erano stati recuperate in specifici centri di recupero della Toscana e della Campania. Questi centri, infatti, presenti anche in diverse altre parti d’Italia, rappresentano importantissime realtà per la cura e riabilitazione di numerosi individui feriti o in difficoltà trovati dai pescatori e anche per le attività di educazione ambientale.
Non sempre però, queste strutture sono apprezzate e viste di buon occhio. Poco dopo Natale, infatti, uno dei più noti centri di recupero per tartarughe marine, quello calabrese di Brancaleone, ha subito atti vandalici che hanno fatto temere per gli animali ricoverati. Situata dal 2006 presso l’ex stazione ferroviaria la struttura è stata “attaccata” a sprangate e sassate nella notte del 26 dicembre con l’intento di intimidire i volontari che vi operano durante il giorno e ostacolare le attività del centro. Gli operatori, le autorità e le istituzioni locali e non solo, hanno condannato pesantemente tali gesti garantendo che continueranno a lavorare per la salvaguardia di questi incredibili animali.
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