Uno a zero per la LAV e palla al centro. È questo in sintesi il risultato dello scontro fra l’associazione animalista italiana e il ministro Maurizio Martina.
Breve riepilogo della querelle. A maggio il ministero delle Politiche agricole – in accordo con allevatori, grande distribuzione e industria di trasformazione – ha varato una campagna per sostenere il consumo di latte. Un investimento di circa due milioni di euro per una campagna in televisione, sui giornali e anche sui social network con l’hashtag #oradellatte. «Scegliere la qualità del latte fresco – aveva spiegato il ministro in occasione del varo – per i consumatori di ogni età vuol dire saper riconoscere e apprezzare tutto ciò che c’è dietro: l’impegno di chi lavora nella filiera, ma anche le sue proprietà nutritive».
Agli organizzatori della campagna, però, è scappata qualche parola di troppo. Se ne è accorta immediatamente la LAV che ha chiesto e ottenuto l’intervento dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. La frase incriminata definiva “fondamentale” questo alimento “in tutte le fasi della vita degli individui”, affermando fra l’altro che “per una corretta alimentazione quotidiana” è “indispensabile per il nostro organismo, sia per quanto riguarda la fase dello sviluppo che nell’età adulta”.
Il latte, invece, non è indispensabile. L’organismo di regolamentazione pubblicitaria ha infatti scritto, sulla base della documentata denuncia anche scientifica trasmessa dalla LAV, che: “l’apporto proteico e di nutrienti fornito dal latte può essere sostituito senza inconvenienti da altri cibi non di origine animale”.
«Siamo scandalizzati che il Ministro delle politiche agricole e alimentari Martina dia ben 120 milioni di euro di aiuti per un sistema zootecnico già fortemente sostenuto da contributi pubblici, incapace di reggersi solo sulle proprie gambe e che prende il latte alle altre specie animali, sottraendolo ai loro piccoli fatti nascere a forza», afferma Gianluca Felicetti, Presidente LAV. «Il termine “indispensabile” era stato già censurato come ingannevole negli anni scorsi dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria su nostra istanza contro Mellin e Consorzi di produttori di carni che intendevano accreditare il messaggio che è impossibile vivere senza alimentarsi con proteine animali, e questo è contraddetto dalla vita di milioni di vegani e di intolleranti al lattosio in tutto il mondo e in tutte le epoche. Al Ministero delle politiche agricole e alimentari chiediamo di farsi portavoce di tutti gli interessi, con obiettività».
Parole condivisibili, quelle di Felicetti, che meritano rispetto, ma che a mio avviso non guardano alla complessità della questione.
Ora, che il ministro Martina e questo governo non siano all’altezza del compito chiamati ad affrontare è dimostrato quasi quotidianamente. E che la campagna #oradellatte fosse partita col piede sbagliato era evidente fin dalla scelta dei testimonial: lo chef prezzemolino che sponsorizza le patatine in busta Carlo Cracco, il professor Giorgio Calabrese, strenuo difensore dell’olio di palma che tempo fa aveva proposto anche una sua personale interpretazione della dieta mediterranea in cui includeva cibo animale ad ogni pasto, l’ex calciatore Demetrio Albertini sempre in cerca di un nuovo ruolo e la lady del pomeriggio in tv Cristina Parodi.
Tuttavia non si possono trascurare altre valutazioni.
Ad esempio che lo scorso primo giugno si è celebrata la sedicesima edizione della giornata mondiale del latte indetta dalla Fao. L’organizzazione internazionale sostiene che non esiste altro alimento capace di fornire tanti nutrimenti a un costo così abbordabile e in modo sostenibile e tanto ricco di potenzialità nel migliorare l’alimentazione di miliardi di persone.
Tornando a casa nostra, è il caso di ricordare che dopo la fine del regime delle quote latte, seguite dalla liberalizzazione e il crollo dei prezzi, si è registrata la chiusura di migliaia di stalle, con i produttori nazionali messi in ginocchio dalla concorrenza straniera. La LAV parla di un sistema produttivo “incapace di reggersi solo sulle proprie gambe”. È così, ma negli ultimi anni il nostro paese è diventato il più grande importatore di latte al mondo. Importiamo circa il 40% del latte e dei formaggi che consumiamo. Dalle frontiere transitano ogni giorno quasi 25 milioni di litri di latte equivalente tra cisterne, semilavorati, formaggi, polveri di caseina. In particolare si assiste ad un aumento dell’import dei Paesi dell’Est. Uno studio di Coldiretti ha messo in evidenza che tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri e senza indicazione in etichetta, come pure la metà delle mozzarelle.
Al di là dei nazionalismi, che qui poco ci importano, è necessario riflettere su altri fatti: difendere le stalle e il latte italiano significa difendere un patrimonio nazionale. La chiusura di una stalla non significa solo una perdita di posti di lavoro e di reddito, che già di per sé è un fatto drammatico, ma anche un danno alla collettività: il 53% degli allevamenti italiani infatti si trova in zone montane e svantaggiate e svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio.
Gli allevatori sono in una posizione di sudditanza nei confronti dell’industria di trasformazione: il latte “spot”, cioè quello venduto senza contratti a lungo termine, ora viene pagato alle stalle anche solo 29 centesimi al litro. A loro restano le briciole e margini che non consentono di andare avanti. La sola via d’uscita resta la valorizzazione del latte 100 per cento italiano e la chiara indicazione al consumatore del latte importato dall’estero a prezzi più bassi. A tal riguardo occorre dare atto che qualche settimana fa il Ministero delle politiche agricole ha reso noto di avere inviato a Bruxelles lo schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine per i prodotti lattiero caseari in Italia, avviando così l’iter autorizzativo previsto a livello europeo. Un passo importante, che consentirà, se il provvedimento supererà le necessarie verifiche, di indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte, burro, yogurt, mozzarella e formaggi.
Poi, va da sé, ciascuno deve essere libero di consumare ciò che vuole e tutti abbiamo il diritto di ricevere informazioni corrette. Chi predilige il latte vegetale non deve essere discriminato da tasse aggiuntive. Chi vuole consumare il latte di origine animale deve poter conoscere la sua provenienza. E gli agricoltori e gli allevatori meritano rispetto per il lavoro che svolgono.
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