Miliardi di microrganismi errano negli oceani assicurando con la loro presenza la metà delle riserve di ossigeno del Pianeta. È il plancton, un universo parallelo quasi invisibile ma fondamentale per la nostra vita.
Questa storia comincia in un braccio di mare freddo, nel Nord Atlantico all’inizio della primavera. L’acqua calma è attraversata dai raggi del sole, che alimenta uno dei più importanti processi di rinnovamento negli oceani. Nella tarda mattinata, le diatomee – un particolare tipo di organismi che appartengono al grande gruppo del plancton – cominciano a riprodursi: una diventa due, due diventano quattro: al tramonto di quel primo giorno arrivano già a dodici. Sono piccolissime, molto inferiori al decimo di millimetro, e ce ne vogliono centinaia di migliaia in un metro cubo d’acqua perché si cominci a notare ad occhio nudo la loro presenza, che dà all’acqua una tinta lievemente più verde. È il primo passo della “fioritura”, la riproduzione esplosiva del plancton, uno dei fenomeni apparentenemte meno clamorosi, ma tra i più importanti degli oceani.
Plancton in greco antico significa “errante”, “vagabondo”, cioè trasportato dalle correnti marine. E nel plancton, infatti, c’è davvero di tutto: gamberetti, pesci allo stato larvale, lumache in grado di fluttuare, larve di ricci marini e di granchi, meduse ma, soprattutto, microorganismi capaci di compiere la fotosintesi. Questo gruppo, chiamato fitoplancton, è in grado di produrre preziosissimo ossigeno, proprio come le piante. Pochi organismi planctonici sono più grandi di una monetina e la maggior parte è così piccola che potrebbe nascondersi dietro la capocchia di uno spillo. In pratica quasi tutti gli animali marini che ci vengono in mente – a parte i mammiferi, i rettili, gli uccelli e gli squali – passano una parte della loro vita nel plancton quando sono molto giovani. Per questo il plancton è così incredibilmente importante, ed è un elemento fondamentale per la vita degli oceani.
Nel giro di pochi giorni alle diatomee si aggiungono molti altri organismi. Alimentato dal sole, il motore delle vita gira a pieno regime e popola le acque superficiali di altri piccoli protagonisti, sempre in grado di compiere la fotosintesi, come i dinoflagellati, capaci di muoversi con due minuscole fruste e spesso bioluminescenti, oppure i coccolitoforidi, senza flagelli ma rivestiti di scheletri calcarei, o ancora le alghe blu-verdi o cianobatteri, che colonizzano rapidamente le acque superficiali. Le immagini satellitari del Nord Atlantico, tra l’inizio della primavera e l’estate rivelano un colore verde delle acque sempre più intenso che avanza verso Nord fino ad arrivare ai ghiacci dell’Artico. È il verde della clorofilla contenuta in miliardi di organismi che fluttuano nelle acque superficiali e che si riproducono continuamente, aumentando di oltre cento volte il loro numero rispetto a qualche settimana prima. La portata di questo fenomeno è tale che in primavera circa metà della produzione mondiale di ossigeno è prodotta dal fitoplancton.
Io mangio te lui mangia me
Proprio come per l’erba sulla terraferma questo fitoplancton è “brucato” da schiere di microscopici erbivori, soprattutto i copepodi, piccoli e famelici crostacei, che sono tra gli organismi marini multicellulari più diffusi. Lunghi spesso meno di un centimetro, hanno due lunghe antenne frontali molto sensibili, che consentono loro di allontanarsi con uno scatto quando si avvicina un predatore. Questi copepodi erbivori, che dispongono di così tanto nutrimento, si riproducono in fretta e alimentano a loro volta schiere di piccoli predatori. Da questo livello in su, infatti, tutti mangiano tutti: ci sono copepodi più grandi e carnivori, e poi meduse, giovani pesci e larve di invertebrati di ogni tipo. Tutti i trucchi più sorprendenti valgono per rimanere in vita un giorno di più. Il gamberetto predatore del genere Phronima, lungo un paio di centimetri, aggredisce un particolare organismo gelatinoso a forma di tubo, chiamato “salpa”, e ne divora l’interno. Poi si trasferisce nella sua preda ormai priva di vita, una sorta di vaso trasparente ignorato da pesci e calamari. In questo sarcofago il gambero depone le uova, dalle quali fuoriescono i piccoli che lì staranno al sicuro per i primi giorni di vita. Si dice che il diabolico Phronima abbia ispirato le forme e il comportamento della spaventosa creatura del film Alien, anche se il suo creatore, l’artista svizzero H.R. Giger da poco scomparso, non lo ha mai confermato.
Anche il comune polpo (Octopus vulgaris) che può superare da adulto i 10 chili di peso, appena uscito dall’uovo è un minuscolo esserino lungo pochi millimetri che passerà nel plancton fino a 8-10 settimane di vita prima di posarsi sul fondo e cominciare a vivere come gli adulti, cacciando granchi, molluschi e pesci. Addirittura i grandi tonni o i calamari giganti hanno una fase planctonica nelle acque superficiali delle durata di qualche settimana, quando sono lunghi ancora pochi centimetri.
Questa schiera di organismi, che da sola ha una biomassa sicuramente superiore a quella dell’intera umanità, è la dispensa di tutti i grandi animali marini. Molte specie di balene e di squali si nutrono direttamente di piccoli animali planctonici. Come i gamberetti Euphasia pacifica, lunghi circa due centimetri, che assieme ad altre specie di gamberi costituiscono il famoso krill, il protagonista degli oceani polari: nelle acque del Pacifico forma immensi banchi che a volte arrivano a contare migliaia di individui per metro cubo di acqua. Il mare diventa in pratica una immensa minestra di gamberetti che oltre alle balene sfama anche foche, pesci, calamari e uccelli marini.
Se il plancton si sciogle
Insomma, senza il plancton negli oceani non ci sarebbe vita, così come la conosciamo adesso. La domande chiave che molti oggi si pongono è: in che modo i cambiamenti climatici – dei quali l’uomo è almeno in parte responsabile – alterano i complessi cicli del plancton? L’acidificazione delle acque superficiali degli oceani, causata dall’eccessiva presenza di anidride carbonica nell’atmosfera, determina una lenta dissoluzione degli organismi con scheletro calcareo, abbondantissimi nel plancton, bloccando il funzionamento delle catene alimentari. Gli studi su questi temi non mancano, ma produrre valutazioni affidabili su fenomeni su scala così vasta è molto complesso. I problemi incontrati dai biologi marini ricordano un po’ quelli affrontati dai metereologi con le previsioni del tempo: le variabili coinvolte sono moltissime e non sempre attendibili. Ciò che è certo, però, è che questo impatto esiste ed è già visibile oggi. Ogni anno, per esempio, la fioritura del fitoplancton nell’emisfero boreale si spinge sempre più a Nord e diventa meno prevedibile. Studiare più a fondo questi fenomeni e capire quali relazioni esistono tra i vari elementi sarà una delle sfide delle biologia marina nel nuovo secolo.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com