Una tassa di un Euro per ogni chilogrammo di imballaggi. È questa la plastic tax, una misura prevista nel Documento programmatico di Bilancio 2020 che sta suscitando pareri molto discordi, non solo tra i produttori della filiera.
La plastic tax mira a far crescere il prezzo dei prodotti imballati con plastica, al fine di disincentivarne l’acquisto.
Non sono solo le bottiglie d’acqua a essere colpite, ma anche buste e vaschette per alimenti in polietilene, i contenitori in tetrapak utilizzati per latte, bibite, vino, nonché i contenitori per detersivi realizzati in materiali plastici monuso.
Ma come funziona?
Per capirlo prendiamo, come esempio, una bottiglia d’acqua, il cui peso a vuoto può variare tra 25 e 60 grammi a seconda del formato. Con la nuova tassazione, il prezzo finale al consumatore potrebbe crescere dai 2,5 ai 6 centesimi. Un aumento, insomma, che oscilla tra il 5,6 e il 13,3%.
«Si tratta di una cifra troppo bassa per essere ritenuta un vero deterrente all’acquisto» spiega Greenpeace, che ha espresso dubbi sulla reale utilità della tassa. «Se l’obbiettivo è davvero quello di disincentivare l’acquisto di plastica, la tassazione dovrebbe essere superiore all’attuale Euro al chilo, intervenendo in modo ancora più consistente su tutte quelle tipologie di imballaggi che non si riciclano e che recentemente abbiamo trovato abbandonate in una discarica abusiva in Turchia».
L’Italia è un esempio virtuoso di riciclo
Grazie all’attività dei Consorzi, in Italia vengono raccolti e non finiscono in discarica i quattro quinti degli imballaggi. Il recupero di imballaggi è arrivato all’80,6%, con un aumento nel 2018 del 3% rispetto al 2017. Un risultato che è ampiamente al disopra degli obiettivi europei fissati per il 2020.
Contro l’ipotesi di una tassa con apparenti finalità ambientali, ma in realtà destinata al Fisco, protesta il mondo dei Consorzi di riciclo, perché la nuova misura fiscale rischierebbe di compromettere il buon funzionamento del sistema, che da più di vent’anni ha consentito al nostro Paese di essere leader nell’economia circolare e di raggiungere tutti gli obiettivi europei per il riciclo.
Come funziona il contributo ambientale
Il sistema del contributo ambientale versato dai produttori e destinato al riciclo e al recupero dei rifiuti degli imballaggi ammonta a 450 milioni di euro all’anno.
Il contributo viene direttamente finalizzato alla tutela ambientale e va tutto a finanziare direttamente le raccolte differenziate e il riciclo della plastica, senza passare dalle tasche del Fisco. Nel 2018 il Conai ha trasferito direttamente ai Comuni italiani 561 milioni di euro per ripagare il loro servizio di raccolta differenziata.
Al contrario, se si dovesse aggiungere la tassa di 1 euro al chilo destinata al bilancio generale dello Stato, non si contribuirebbe minimamente all’attività di riciclo, ma si andrebbero a sottrarre risorse finanziarie alla filiera virtuosa dei Consorzi.
Secondo le aziende del settore e le imprese del riciclo, con la plastic tax quei soldi verrebbero tolti all’ambiente, per essere destinati alla fiscalità generale.
La voce dei Consorzi del riciclo
Corepla, il maggiore Consorzio del settore che si occupa del riciclaggio della plastica (produttori di imballaggi, selezionatori di rifiuti, riciclatori), fa notare che, per evitare che la plastica finisca nell’ambiente, l’unica soluzione è incentivare la raccolta differenziata. E, proprio su questo aspetto, osserva che in manovra finanziaria manca una spinta da parte del Governo.
L’attività del Consorzio agisce, invece, con strumenti che incentivano il ciclo virtuoso del riciclo: i Comuni ricevono 300 euro per tonnellata di rifiuto conferito. Più il Comune è virtuoso, più viene premiato. Nel 2018 il ristorno agli Enti locali è stato di 350 milioni di Euro.
Contro una simile tassa protesta anche Cosimo De Benedittis, direttore del Consorzio Conip (raccolta e riciclo di casse e pallet di plastica): «Con tale provvedimento, anche un sistema virtuoso come quello di Conip cesserebbe di esistere».
Aggiunge Corrado Dentis, presidente del Consorzio Coripet (raccolta e riciclo delle bottiglie di Pet): «Tassare tutti gli imballaggi in plastica non aiuta l’ambiente: punisce gli imballaggi riciclabili che hanno un efficace circuito di raccolta e riciclo e pone freni allo sviluppo di una vera economia circolare».
Il monito di due voci autorevoli
Ermete Realacci, ex presidente della Commissione ambiente della Camera, da parte sua sostiene che sulla plastic tax «la direzione indicata è giusta, ma il metodo è sbagliato», perché è stata formulata una misura «senza prima confrontarsi con i soggetti interessati e competenti».
Se si vuole orientare il mercato a favore dell’ambiente, «la leva fiscale è uno strumento per recuperare risorse» ha ricordato Realacci, che però vanno anche «reinvestite per incentivare chi opera nella direzione giusta» dando alle aziende il modo e il tempo di adeguarsi.
Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente dal 1996 al 2000 e “padre” del Testo Unico Ambientale, boccia la plastic tax perché «non contribuisce minimamente all’attività di riciclo, ma punta solo a introiettare denaro. Andando peraltro contro le direttive europee», secondo le quali si dovrebbe salire dal 43 al 55% di plastica riciclata. Ma per raggiungere l’obiettivo, gli investimenti «devono essere finalizzati alla conversione ecologica, non a fare cassa».
Quali alternative?
Da anni Alberto Bertone, AD del Gruppo Sant’Anna Fonti di Vinadio, propone una soluzione al problema della dispersione nell’ambiente delle bottiglie di plastica usate: istituire una cauzione sul vuoto, in modo che sia interesse del consumatore conferirle ai punti di raccolta e non disperderle nell’ambiente. In Germania il sistema esiste dagli anni ’90, si chiama pfandsystem e produce efficienza economica e responsabilizzazione sociale. Da una parte si avrebbe una migliore raccolta differenziata, dall’altra le cauzioni non riscosse potrebbero andare a finanziare la gestione dei rifiuti dei Comuni.
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