Rinchiusi in capannoni, senza poter accedere ad un’area all’aperto, né vedere la luce del sole. Così vivono i milioni di galline allevate in Italia per la produzione di uova.
A mostrare il lato insostenibile di questa produzione è la nuova inchiesta condotto dall’associazione Essere Animali; le immagini provengono dal lavoro di investigazione svolto in dieci allevamenti intensivi situati in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, tre regioni che da sole coprono quasi la metà della produzione nazionale di uova, vale a dire 10,2 miliardi nel 2017.
Produzione di uova triplicata
Negli allevamenti intensivi le galline selezionate geneticamente, alimentate con cibi iperproteici ed esposte a luce artificiale arrivano a deporre 300 uova all’anno, contro le 100 che produrrebbero in un contesto naturale.
Ma a questi ritmi di sfruttamento e con una vita di privazioni la produttività delle galline ovaiole si esaurisce presto: non appena le loro performance calano, a circa 1 anno e 8 mesi di vita – quindi giovanissime – sono mandate al macello. In natura, infatti, le galline possono vivere anche 8 anni.
Come vengono allevate le galline in gabbia
La regolamentazione nazionale impone che ogni uovo commercializzato sia contraddistinto da un numero da 0 a 3 che identifica la tipologia di allevamento.
Attualmente, nel nostro Paese, i più diffusi sono gli allevamenti in gabbia che coprono il 60% del totale e in cui sono prodotte le uova con il codice 3.
In queste batterie ciascun animale ha a disposizione una superficie grande poco più che un foglio A4 sulla quale non riesce nemmeno ad aprire le ali.
Le immagini girate in questi allevamenti mostrano galline che versano in uno stato di profonda apatia e con evidenti problemi di plumofagia, una patologia che le porta a strappare le penne a se stesse o alle compagne. Frequenti sono i problemi alle zampe a causa della crescita incontrollata delle unghie che, non consumandosi, si attorcigliano al pavimento della gabbia, fatto di rete metallica.
Gli allevamenti a terra
Nei cosiddetti allevamenti “a terra”, definiti dal codice 2, la legge invece impone che in un metro quadrato vi siano 9 galline. Non vi sono gabbie ma il sovraffollamento è evidente. La mancanza di luce solare provoca anemia, visibile nelle creste abbassate e nelle zampe pallide, mentre il prolungato contatto con la lettiera, che assorbe escrementi e urina, favorisce le infezioni agli arti inferiori.
Biologico e all’aperto sono davvero meglio?
Solo l’8% delle uova prodotte in Italia proviene, invece, da allevamenti “all’aperto” o “biologici”, ai quali viene assegnato rispettivamente il codice 1 e 0. Qui le galline hanno accesso a uno spazio all’aperto per alcune ore al giorno. Sebbene le loro condizioni di vita siano migliori rispetto a quelle allevate in gabbia o a terra, anche questa produzione implica l’uccisione dei pulcini maschi e delle galline a fine ciclo.
«Molte persone ci chiedono come possono evitare l’acquisto di uova che provengono da questo sistema irrispettoso degli animali. Alcuni si riforniscono dal contadino di fiducia ma per cambiare veramente le cose è necessario rivedere i nostri consumi – ha spiegato l’associazione –. Secondo i dati, infatti, ogni italiano consuma circa 140 uova l’anno, a cui si aggiungono altre 76 uova utilizzate come ingredienti in pasta e dolci già pronti».
Con questi numeri, l’allevamento intensivo è una triste necessità.
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