Era una domenica pomeriggio e, dato il bel tempo, avevo deciso di trascorrerla portando il mio cane, Cacao, a fare un’escursione (o forse sarebbe meglio definirla passeggiata) in montagna.
Non appena giunti al piazzale dove poter lasciare l’auto e da dove inizia il sentiero per uno dei rifugi della zona, sganciai il guinzaglio da Cacao, il quale, sovraeccitato e contento, si lanciò di tutta fretta – ma senza allontanarsi troppo da me – verso il bosco.
Scacciai dalla mente tutti i pensieri negativi e dedicai la mia intera attenzione alla natura che mi circondava. Entrando nel bosco, osservai il sentiero che mi trovavo di fronte: mi dava un piacevole senso di avventura. Il tracciato una volta completamente in terra battuta, era stato in parte sostituto da una strada asfaltata.
Mi pentii di non aver spento il telefono quando lo sentii squillare.
«Buongiorno dottore, dovrei prendere appuntamento per il vaccino della gatta. Se fosse possibile, sarebbe meglio martedì» mi rispose una voce maschile.
«Buongiorno, certo, non ci sono problemi. Ora non sono in ambulatorio ma mi può dire il nome della gatta così me lo annoto?».
Dall’altra parte dell’apparecchio ci fu un momento di riflessione a cui proseguì un: «Non me lo ricordo. Il fatto è che si tratta della gatta di mio nipote».
Per cercare di venire incontro a questa persona, chiesi: «Allora mi può dire il suo cognome?».
A questa ulteriore domanda, ci fu un ennesimo momento di riflessione a cui seguì un: «Ma intende il cognome della gatta?».
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