Scattata in Mar Rosso, questa immagine riassume emblematicamente, con quel Sole forse al tramonto, lo stato attuale dei reef mondiali la cui sopravvivenza, come hanno messo in evidenza svariate ricerche negli ultimi decenni, è minacciata dal cambiamento climatico e dall’alterazione della qualità dell’acqua degli oceani. L’ho trovata molto affascinante e, nello stesso tempo, coinvolgente nella sua apparente semplicità che riesce a fondere armoniosamente un momento del giorno, paesaggio e natura. L’autore è Pietro Formis, recentemente premiato al prestigioso concorso Wildilfe Photographer of the Year 2023 per la sua foto Death in Waiting (*).
Meno del 2% dei fondali degli oceani è coperto dai reef…
Rivolgendo lo sguardo al passato si può scoprire che le scogliere coralline, o strutture sommerse molto simili ad esse, comparvero all’incirca due miliardi di anni fa.
Da allora hanno dovuto affrontare varie crisi biologiche come molte altre specie animali e vegetali, l’ultima delle quali avvenne verso la fine del Cretaceo. Da questa ebbero origine i reef che conosciamo, così affascinanti e apparentemente vasti quando ci immergiamo in mezzo a loro misurandoli con le distanze che riusciamo a coprire a colpi di pinna e il tempo che passiamo in immersione.
Eppure i dati ci dicono che le scogliere coralline coprono meno del 2% della superficie degli oceani, confinate come sono ad ambienti dove la temperatura non scende mai sotto i 20 °C e non supera i 29 °C, anche se i coralli possono sopportare temperature superiori, sia pure per brevi periodi oltre i quali il calore diventa letale.
Altri fattori che limitano la crescita e la diffusione dei reef sono la salinità dell’acqua, che deve essere costante, l’intensità della radiazione luminosa dell’ambiente in cui vivono e, infine, la trasparenza delle acque e il tasso di sedimentazione.
Però ospitano quasi il 25% di tutte le specie marine conosciute!
Per quanto così limitati, i reef sono uno straordinario scrigno di biodiversità. Sono hot spot di vita marina che non hanno eguali dal punto di vista biologico potendo ospitare quasi il 25% di tutte le specie marine conosciute.
Purtroppo questo riguarda anche il gigante dei reef, la Grande Barriera Australiana. Massima espressione biologica delle capacità costruttive dei coralli con i suoi 2900 reef e 900 isole che si estendono per 2300 chilometri e coprono una superficie pari a quella di Gran Bretagna, Olanda e Svizzera riunite. Anche lei è in crisi e i suoi rigogliosi giardini di corallo lasciano sempre più spazio a deserti sbiancati.
Qualche speranza all’orizzonte con qualche ma
Nonostante questi ed altri fattori negativi in molti reef del mondo si assiste a una ripresa dei coralli costruttori. Queste aree sono diventate oggetto di speciali osservazioni per cercare di capire come questi organismi dalla notevole resilienza siano in grado di riprendersi da soli. E molto meglio di quanto le tecnologie attuali utilizzate per ricostruire i reef siano in grado di fare.
Tuttavia la ripresa non convince del tutto gli scienziati. In molti casi hanno notato come le specie più vitali, rigogliose e predominanti siano relativamente poche rispetto alla varietà di popolamenti originali.
Un cambiamento che alcuni paragonano a una monocoltura che prende il posto di un pascolo naturale o di una foresta con tutto ciò che tale evoluzione comporta.
Ecco allora che la foto di Formis assume ancora di più la valenza di un futuro incerto tra un tramonto annunciato e una nuova alba di cui intravediamo i primi raggi, ma di cui non sappiamo prevedere se questi saranno forieri di tempo splendido o incerto o tempestoso.
I reef possono fare da soli senza interventi localizzati, ma questo non esclude che l’uomo faccia la sua parte. Ed è una parte decisamente importante perché coinvolge l’intero pianeta e, se ci riusciremo, non saranno solo i coralli a ringraziarci con la loro bellezza e biodiversità.
(*) La foto “Death in Waiting” di Pietro Formis può essere vista a questo link
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