L’attività venatoria in Italia non gode buona fama, considerando che l’opinione pubblica è nettamente contraria a questa pratica. La stessa avversità però non sembra averla la politica che, spesso, mette in campo nuove normative, a livello regionale, in favore dei cacciatori. Nonostante il loro numero parli di un declino inarrestabile, che attualmente porta il numero delle licenze di caccia a poco più di 700 mila unità, circa un terzo di quante erano solo vent’anni addietro. I praticanti la caccia in Italia sono però ancora meno considerando che nel 2017 (ultimo dato disponibile) sono stati rilasciati dalle Regioni soltanto poco più di mezzo milione di tesserini venatori, obbligatori per esercitare la caccia.
Il rapporto tra caccia e politica
Visti i dati viene naturale domandarsi quale sia la reale forza dei cacciatori e quale sia la leva che riescono ad avere nei confronti della politica, normalmente poco incline ad ascoltare chi non possiede i numeri per creare consenso elettorale. Proprio il voto è la forza della categoria: i cacciatori sono una categoria monolitica, che vota con devozione chi sostiene la loro passione. Premiando i politici che si spendono per sostenere un’attività che non piace alla gente, che non sopporta più di vedersi sequestrare la natura da una manciata di persone in armi, che si impossessano per mesi di boschi campagne, esautorando di fatto la collettività disarmata. Senza considerare la scia di morti e feriti che ogni anno caratterizza la stagione venatoria, colpendo anche persone che non hanno nulla a che fare con la caccia.
La scelta della Lombardia
Questa è la premessa che porta alla nuova disposizione voluta da Regione Lombardia il 2 agosto di quest’anno, decisa quando la gente è in ferie che ancora una volta cerca di “strappare” aprendo gli impianti di cattura dei volatili. Nonostante i numerosi pronunciamenti della giustizia amministrativa che le hanno sempre dato torto, con una costanza che meriterebbe una valutazione di merito su questi comportamenti.
Verranno quindi nuovamente stese le reti da uccellagione che interromperanno bruscamente la migrazione di almeno 12.700 uccelli, tanti sono quelli per i quali è stata autorizzata la cattura nei roccoli di Bergamo, Brescia e Lecco. Impianti che potranno catturare merlo, tordo bottaccio, tordo sassello e cesena che, una volta muniti di anello regolamentare saranno ceduti agli appassionati che praticano la caccia da capanno, quella più avversata anche da molti cacciatori per assenza di qualsiasi sportività. La caccia d’appostamento consiste nel creare un luogo invitante per la sosta degli uccelli, richiamati verso i capanni dai loro simili rinchiusi in piccole gabbie appese tutt’intorno al capanno, per poi essere abbattuti da un cacciatore che sta comodamente seduto all’interno. Un tranello insomma, una forma di caccia davvero incomprensibile ai più, che ha però molti estimatori proprio delle provincie con maggior estensione collinare e montana.
I richiami vivi sono ancora consentiti
L’uso dei richiami vivi per la caccia è ancora consentito nel nostro paese, a patto che provengano da allevamenti o catture autorizzate dalle Regioni. Che non sono più consentite da anni in virtù di norme europee, proprio perché le reti da uccellagione sono considerati metodi non selettivi, che mettono in pericolo l’avifauna sulle rotte migratorie, catturando ogni tipo di piccolo uccello canoro.
Nelle reti infatti restano impigliati volatili di ogni specie, con tutti i possibili traumi che possano derivare dall’essere catturati dalle invisibili trame delle reti per creature che pesano solo pochi grammi. La Lombardia, con cadenza ricorrente ha autorizzato roccoli e reti e lo ha fatto anche quest’anno, cercando nelle pieghe delle direttive quelle smagliature che potessero consentire di evitare l’ennesima bocciatura da parte del TAR. Che quest’autunno si occuperà della vicenda il 10 ottobre, a impianti già aperti, per valutare la richiesta di sospensiva presentata da ENPA, LAC, LAV, WWF e da altre associazioni ambientaliste
Ma l’utilizzo dei richiami vivi non è solo un problema per la fauna durante il periodo migratorio: esiste infatti un traffico illegale di uccelli prelevati dai nidi in primavera, in modo da poter essere inanellati come se fossero nati in cattività. I pulli poi vengono allevati “allo stecco”, una pratica di allevamento a mano che li rende molto confidenti nei confronti dell’uomo tramite il cibo, come in ogni forma di condizionamento di questo tipo.
Se qualcuno mai potesse credere che dietro queste pratiche illegali via sia soltanto pura passione è bene che si ricreda: questi volatili di cattura, grazie al travestimento dato dall’anello che li legalizza, possono valere migliaia di euro. Cantano meglio di quelli allevati e sono quindi più utili per richiamare i loro consimili verso gli appostamenti.
Pratica che aggiunge ancora più crudeltà alla caccia
Le problematiche sui richiami non si esauriscono però solo con cattura e bracconaggio, ma riguardano anche le condizioni in cui gli animali sono costretti a vivere, in piccole gabbie per tutta la loro esistenza. Obbligati a subire l’alterazione del ciclo delle stagioni, per arrivare all’apertura della caccia con l’illusione che questa non avvenga in autunno ma in primavera, così da farli cantare credendo di trovarsi all’inizio della stagione riproduttiva. Questa “confusione” viene ottenuta alterando l’esposizione degli uccelli da richiamo alla luce, riuscendo a modificare il loro ciclo circadiano tenendoli al buio per un lungo periodo, per poi riportarli piano piano a credere che le giornate si allunghino e stia arrivando la primavera. Una crudeltà nella crudeltà della detenzione in piccole gabbie dove merli, tordi e cesene non riescono nemmeno a aprire le ali e, ovviamente, tanto meno a volare. Per questo contro questa pratica, poco conosciuta dal grande pubblico, si battono da sempre le associazioni di protezione degli animali, che non possono accettare quella che si cerca di far passare come una tradizione, pur essendo sempre in bilico fra legalità e illegalità.
Le proteste degli ambientalisti
Nell’attesa di vedere quali saranno le decisioni del tribunale amministrativo regionale, agli inizi di ottobre intanto si montano le reti nei roccoli perché, anche solo per pochi giorni gli impianti apriranno. Per questo gli ambientalisti manifesteranno il 21 settembre davanti alla sede della Regione Lombardia, esprimendo tutto il loro dissenso verso la caccia con i richiami vivi, giudicata non più tollerabile, ma anche contro chi amministra il bene pubblico, reiterando delibere giudicate sempre illegali dai tribunali.
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