Nei giorni scorsi Codacons ha diffuso un comunicato per commentare l’ennesimo crollo delle nascite in Italia. Secondo il report Istat sugli Indicatori demografici, nel corso del 2016 sono scese a quota 474mila con una riduzione ulteriore rispetto al 2015.
L’associazione, senza mezzi termini, attribuisce il calo principalmente allo stato di difficoltà e incertezza economica in cui versano le famiglie italiane. «La situazione di indeterminatezza e di generale impoverimento del ceto medio registrata in Italia negli ultimi anni, ha reso sempre più difficile per le famiglie mettere al mondo un figlio», scrive Codacons. «Oggi molti italiani non possono più permettersi di mettere al mondo un bambino, e sono costretti a rimandare a tempi migliori il proposito di diventare genitori, in assenza anche di un sostegno concreto da parte dello Stato».
So di avventurarmi su un terreno scivoloso. La questione rinvia a scelte e dinamiche personali, intime. Credetemi, scrivo nel massimo rispetto di tutte le coppie, giovani o meno, che desidererebbero un figlio e per una ragione o per l’altra non sono ancora riuscite a coronare il loro sogno. Tuttavia non posso esimermi dal suggerire qualche altra ragione che concorre al rallentamento costante e, sembrerebbe, incontrovertibile delle nascite nel nostro Paese, ma un po’ in tutta Europa.
Analizziamo un altro dato, sempre fornito da Istat: solo la metà delle quarantenni ha avuto un secondo figlio, e circa il 10 per cento ne ha avuto un terzo, mentre per le loro madri alla stessa età sette donne su dieci avevano il secondogenito e la metà anche un terzo figlio in più. Non parliamo poi delle loro nonne, che pure non disponevano certamente di condizioni economiche migliori.
Figli sì, figli no. È una questione assai delicata, che forse non si può liquidare solo facendo di conto, cioè stimando quanto costa avere un bambino oggi tra alimentari, biancheria, carrozzine, passeggini, culle, spese mediche, asili nido, baby sitter ecc.
Il tema può essere esaminato da più punti di vista. C’è una forma di egoismo narciso dilagante a sostenere il crollo delle nascite? Forse sì. Non si può trascurare, tuttavia, che oggi non si fanno più figli solo per obbedire ai precetti di una natura divina, di una coercizione dello Stato o di un’imposizione familiare. Fortunatamente, è il caso di aggiungere.
Essere senza figli è considerata una condizione patologica, anche nel terzo millennio. A volte purtroppo lo è, ma non è questo il caso in esame. Eppure meriterebbe attenzione e anche rispetto la scelta, pienamente libera o ingiunta da condizioni sociali sfavorevoli, di restare senza figli. È un percorso di vita divergente in una società che sembra tendere sempre e comunque all’opulenza e alla pienezza. Ecco il nodo da scogliere: chi non fa figli è egoista e pensa solo a sé stesso, oppure è coraggioso e si fa carico di affrontare la più spaventosa di tutte le nostre paure, la solitudine? Già, perché giunti a un certo punto dell’esistenza la mancanza di figli è per sempre, come un tatuaggio indelebile.
Insomma, la crisi delle nascite è il lato oscuro del ricco modello occidentale, oppure è l’espressione stessa di un modello di civiltà?
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com