A primavera i fiori, la vita e la natura si ridestano dopo il gelo dell’inverno. La mitologia greca vuole che sia il ritorno dagli inferi di Persefone a risvegliare il mondo vegetale a nuova fioritura dopo che Demetra, sua madre e dea della fecondità, aveva fatto morire tutte le piante per vendicarsi del rapimento della figlia da parte di Ade. Ma Persefone è costretta ogni volta, per un terzo dell’anno, a tornare negli inferi: sulla terra ricompare allora l’inverno.
di Donatella Cabrini
Primula (Primula vulgaris)
Di nome e di fatto i primi veri fiori di primavera sono le primule, emblema della giovinezza, di cui esiste un’enorme varietà di specie. Fra tutte la più comune, nel sottobosco fino a 1200 metri di altezza, è la Primula vulgaris, a cui credenze popolari attribuiscono il potere di sciogliere le rocce e aprire le porte. Nell’Ottocento, infatti, un mazzo di primule, se composto del numero giusto di fiori, schiudeva le rocce delle fate, mostrando la via per il loro regno.
Primula odorata (Primula veris)
Nell’Italia settentrionale si tramanda che i fiori gialli e penduli della primula odorata (Primula veris), di fioritura più tardiva (aprile-giugno) perché vive a quote maggiori (fino a 2300 metri), grazie al loro aspetto simile a un mazzo di chiavi, aprano la porta della prigione dove Bufera e Ghiaccio hanno rinchiuso la Primavera, liberandola. Secondo altri, invece, sono le chiavi del Paradiso, gettate sulla terra da San Pietro quando seppe che il Signore ne aveva volute un altro paio per sé.
Bucaneve (Galanthus nivalis)
Fedele al suo nome, il bucaneve (Galanthus nivalis) già a febbraio buca il terreno ancora innevato o indurito dal gelo e schiude i suoi delicati petali, candidi e freschi. Il suo habitat ideale sono i boschi e le piccole valli dai terreni umidi e ricchi, fino ai 1200 metri di altitudine. Nella campagna ancora spoglia è felice presagio della buona stagione in arrivo, tanto da far nascere il proverbio: “Una primavera senza bucaneve, vuol dire un’estate senza frutti”.
Piantina dai molti poteri, secondo gli antichi erbari d’amore rivela i veri sentimenti dell’amato e la sua fedeltà: basta gettarne un mazzolino nell’acqua di un fosso. A lui Andersen dedica una fiaba dove lo chiama “beffato dall’estate”, nato troppo presto perché illuso da un raggio di sole. “Fiore color del latte della neve” è il significato del suo nome scientifico, Galanthus nivalis, di derivazione greca.
Proprio i Greci ne raccontano la nascita quando, sull’isola dell’Egeo dove fu sepolto Icaro dopo il volo fatale, il vento, al primo sole di primavera, ne piange la morte con lacrime che, al suolo, si trasformano in bucaneve. Una leggenda cristiana narra, invece, che questi fiori stati fiocchi di neve, tramutati dal soffio di un angelo in boccioli di speranza per consolare Eva, disperata e scoraggiata dai rigori dell’inverno terrestre. Quindi, il bucaneve è speranza, consolazione, il fiore da donare per dimostrare solidarietà. Raccogliere un bucaneve nella prima notte di luna, dopo la fine di gennaio, porta felicità per tutto l’anno.
Campanellino primaverile (Leucojum vernum)
Simile d’aspetto, assimilato al bucaneve nel significato, ma dalla fioritura appena successiva, è il campanellino primaverile, che si trova da febbraio ad aprile nei boschi umidi, nelle zone paludose e lungo i fossi del Nord e Centro Italia, fino a 1200 metri. In latino si chiama Leucojum vernum, ovvero “violetta bianca di primavera”, che nasce insieme alle viole mammole (le più precoci), ma è candido e annuncia la nuova stagione in arrivo.
Favagello o celidonia minore (Ranunculus ficaria)
Accompagna i campanellini primaverili, dal pieno dell’inverno fino a maggio, nei campi ancora ingialliti e nei boschi di latifoglie spogli, il Ranunculus ficaria, detto favagello o celidonia minore, comunissimo e diffuso ovunque in Italia, cantato anche dal poeta inglese William Wordsworth. I suoi fiori dorati, lucidi e freschi, secondo una leggenda popolare erano stelle, che Gesù mutò in fiori per onorare sua madre.
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