Il numero di animali impiegati nei laboratori per la sperimentazione è in aumento.
Ad affermarlo è il Ministero della Salute che ha pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.60 del 13 marzo 2018 il numero degli animali utilizzati nel corso del 2016: complessivamente, sono stati 611.707, contro i 586.699 dell’anno precedente. Una tendenza decisamente in crescita nonostante la legge nazionale, le normative europee e l’ambito scientifico indichino come prioritaria l’adozione di metodi alternativi. Il principio cardine delle norme, nazionali e internazionali prevede, infatti, che «consentito l’utilizzo degli animali ai fini scientifici soltanto quando, per ottenere il risultato ricercato, non sia possibile utilizzare altro metodo o una strategia di sperimentazione scientificamente valida, ragionevolmente e praticamente applicabile che non implichi l’impiego di animali vivi».
Cresce l’uso di primati
Il ricorso a conigli, cavalli, capre, topi, ratti, polli e pesci è in aumento, così come l’impego dei macachi che arrivano ad essere 454, contro i 224 dell’anno precedente. Questo nonostante l’autorizzazione all’impiego di primati non umani possa essere concessa dal Ministero solo in via eccezionale e la Commissione europea si sia espressa molto chiaramente a riguardo in un apposito report. Peraltro, un Istituto indipendente olandese, dietro richiesta del proprio Governo, ha affermato che si potrebbe interrompere l’uso delle scimmie già da subito, definendolo un modello non sostenibile, non solo per motivazioni etiche, ma anche scientifiche e legali.
I primati reclusi negli stabulari subiscono per giunta anche la sofferenza della cattura in natura, dal momento che non si tratta di animali nati in cattività ma bensì importati da Paesi di Africa e Asia.
A cosa sono sottoposti gli animali
Dal report balza all’occhio che 280.322 animali sono stati sottoposti a procedure con categorie di dolore definito moderato o grave.
La legge per definire i test relativi a queste categorie si esprime in questi termini «deterioramento persistente delle condizioni dell’animale, graduale malattia che porta alla morte, associate a dolore, angoscia o sofferenza moderati e di lunga durata» oppure «produzione di fratture instabili, toracotomia (incisione del torace) senza somministrazione di idonei analgesici, ovvero traumi intesi a produrre insufficienze organiche multiple» o ancora «stress da immobilizzazione per indurre ulcere gastriche o insufficienze cardiache».
Inoltre, nel 2016 sono stati 4.610 gli animali riutilizzati; questa procedura prevede che dopo essere stata sottoposta a un esperimento, una cavia ne subisca un secondo.
Infine, sono stati 1.787 gli animali impiegati per l’istruzione e la formazione nelle Università italiane. E questo nonostante nel nostro Paese siano vietate procedure didattiche su animali, con deroghe solo per l’alta formazione universitaria.
Favorire i metodi alternativi
Eppure, l’impiego di metodi alternativi – qualora possibili – è caldeggiato anche dalle istituzioni europee. «Quando smetteremo di considerare gli animali oggetti da sfruttare e prenderemo coscienza che sono esseri senzienti, come riconosciuto scientificamente e nel trattato di Lisbona? – ha dichiarato la biologa Michela Kuan, responsabile LAV Ricerca senza animali – Dobbiamo riuscire a superare l’obsoleto vincolo del ricorso al modello animale, dando al nostro Paese lo slancio verso la ricerca del futuro e rivolgendoci a una ricerca utile e affidabile. L’Europa chiede e parla di una scienza diversa che identifica i metodi alternativi come prioritari con l’unico e chiaro obbiettivo di una ricerca senza animali; si tratta di principi contenuti in varie norme e ribaditi anche recentemente dall’EMA, l’agenzia europea del farmaco».
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