Secondo uno studio di prossima uscita sulla rivista scientifica Marine Policy, circa il 97% di squali e razze catturati nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero dai pescherecci non sarebbero conteggiati nelle statistiche ufficiali. Squalo elefante, smeriglio, mako, verdesca, pesce volpe, sono tantissime le specie oggi considerate “vulnerabili” a livello mondiale ma “in pericolo” o “in pericolo critico di estinzione” nel Mediterraneo, come ci ricorda la Lista Rossa del IUCN. «Il Mar Mediterraneo ed il Mar Nero – spiega Madeline Cashion, prima autrice dello studio – hanno da sempre ospitato un elevato numero di Elasmobranchi (sottoclasse che abbraccia gran parte degli ordini a cui appartengono squali e razze, ndr), ma oggi tra il 53% ed il 71% di essi è ad elevato rischio di estinzione». Le statistiche ufficiali, come dimostrato dallo studio di imminente pubblicazione, certamente non aiutano: senza un record ufficiale e puntuale di catture nei nostri mari, la situazione potrebbe già essere ben peggiore. «Da una parte il problema è legato alle catture accidentali – spiega la Cashion – Squali e razze finiscono casualmente nelle reti o nei sistemi di pesca pensati per catturare altre specie, ma poi vengono egualmente issati a bordo e venduti una volta a terra. Purtroppo, anche se piccolo, il mercato della carne di squalo esiste, oltre al fatto che rigettare in mare le carcasse degli animali sarebbe vietato per legge. È evidente che senza un controllo del pescato, è estremamente difficile stimare lo stato della popolazione di squali e razze nei nostri mari e conseguentemente progettare azioni mirate alla salvaguardia di determinate specie. Una cosa è sicura: gli avvistamenti stanno diminuendo consistentemente».
Pensare ad un sistema di monitoraggio
A dispetto della totale assenza di report e dati ufficiali, i ricercatori hanno dimostrato che squali e razze si incontrano sempre più raramente nei nostri mari. Un effetto legato sicuramente alla pesca intensiva compiuta negli ultimi decenni dalle flotte di pescherecci dei paesi europei, africani ed asiatici che si affacciano sul Mare Nostrum e sul Mar Nero. Ovviamente è inutile pensare che a rendicontare eventuali catture accidentali di squali e razze siano i pescatori: «Le attività di reporting devono essere supportate gestionalmente e finanziariamente non solo dai governi dei paesi mediterranei, ma anche da organizzazioni e associazioni che sostengono i pescatori. Soltanto così è possibile mettere in piedi un efficiente sistema di monitoraggio», fa sapere Madeline Cashion. I ricercatori infatti promuovono l’implementazione delle politiche di controllo e monitoraggio delle specie catturate, proprio per quantificare l’eventuale declino della popolazione di elasmobranchi nei nostri mari e per stimarne l’impatto dell’industria ittica. Il controllo, sempre secondo gli studiosi, dovrebbe essere esteso anche a quegli esemplari che vengono catturati ed eventualmente rigettati in mare; informazione, quest’ultima, che potrebbe essere comunicata soltanto dai pescatori. «Per completezza di informazione, bisognerebbe rendicontare anche squali e razze che vengono rigettati in mare – afferma Daniel Pauly, secondo autore dello studio – Non tutte le specie infatti riescono a sopravvivere dopo essere catturate, issate a bordo ed eventualmente rilasciate. Per esempio, in questi casi, gli squali martello muoiono nel 98% dei casi, mentre le razze soltanto nel 2%. Ecco perché è importante sapere cosa viene catturato».
Il grande assente: lo squalo bianco
Intanto nella lista di squali presenti nelle statistiche nazionali di cattura stilata dalla FAO per i paesi del Mediterraneo nel periodo 1950-2014, salta all’occhio un’assenza eccellente: lo squalo bianco. La presenza del bianco nei nostri Mari è confermata da avvistamenti e catture, soprattutto nei paesi africani, e sarebbero confermati – anche se ormai gli studi in merito sono un po’ datati –alcuni “hot-spot” nel Canale di Sicilia, sulle coste di Algeria e Tunisia e nei mari della Turchia. Tuttavia, anche la cattura accidentale di questi animali è confermata quasi ogni anno da notiziari locali, anche se sempre più di rado. In attesa di dati ufficiali la tendenza è evidente: squali e razze stanno scomparendo dai nostri mari e, trattandosi di predatori al vertice della catena alimentare, il rischio di una “cascata trofica” è sempre più imminente, con conseguenze difficili da immaginare, non soltanto per l’ambiente marino ma anche e soprattutto per l’intero comparto della pesca.
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