Come avete già avuto modo di leggere qui, nei giorni scorsi venti Stati e Regioni, tra cui l’Italia, hanno risposto all’appello di Canada e Regno Unito di porre fine al carbone entro il 2030. Le nazioni che hanno aderito alla proposta escluderanno il combustibile fossile dalle fonti impiegate per produrre elettricità.
L’iniziativa annunciata durante la COP 23 di Bonn sui cambiamenti climatici s’intitola “Global Alliance to Power Past Coal”. Al momento a questa alleanza globale per l’elettricità oltre il carbone non aderiscono però i Paesi che ne bruciano di più, né i maggiori produttori.
Fra i primi figurano la Cina, che da anni brucia la metà del carbone di tutto il mondo, e l’India, la cui quota di carbone nel 2016 ha rappresentato tre quarti dei consumi energetici nazionali. I paesi che possono contare sui maggiori giacimenti sono Stati Uniti, Russia, Cina, India, Australia, Sudafrica, Germania (lignite), Ucraina, Kazakistan.
Dal 2000, la capacità di produzione di energia elettrica alimentata a carbone è cresciuta di quasi 900 GW (fonte World Energy Outlook 2017 dell’Aie), mentre si prevede che, per via degli impianti già in costruzione, da oggi al 2040 si aggiungeranno altri 400 GW.
Secondo lo scenario tracciato dall’Aie, il fabbisogno energetico globale aumenterà più lentamente rispetto al passato, pur tuttavia tra oggi e il 2040 crescerà del 30 per cento.
Dunque è importante cominciare a espellere da qualche parte del mondo le fonti più inquinanti, a cominciare proprio dal carbone, che è il combustibile più vecchio e con le maggiori emissioni dannose per la salute umana ed è anche la principale fonte di gas serra. Purtroppo però, secondo il parere di molti e autorevoli esperti, il tempo che ci rimane a disposizione prima di innescare processi irreversibili è rimasto davvero poco.
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