Fermare le importazioni di pollo ucraino, cresciute del 3,7% nel solo 2018 e che hanno superato le 123mila tonnellate.
La richiesta è stata avanzata da Coldiretti, che ha anche sollevato dubbi sull’etichettatura della carne che potrebbe penalizzare i consumatori finali.
«L’Ucraina sta approfittando delle agevolazioni tariffarie concesse dalla Ue per aiutare i paesi dell’Europa orientale, mettendo a rischio le produzioni nazionali ed europee» accusa l’associazione di categoria.
Lo stratagemma per aggirare la frontiera
Secondo Coldiretti, per evitare di pagare dazi più alti sui pezzi pregiati, come il petto, sarebbe stato messo in atto uno stratagemma.
«Il taglio composto da petto e ala è stato denominato “breast with cap in” e classificato come pollame generico, che passa i confini dell’Unione a tariffa zero, per poi essere preparato e venduto come petto a ristoranti, mense e in altri canali industriali, dove non c’è la possibilità per il consumatore finale di verificare l’origine o l’etichetta – spiega Coldiretti –. Il trucco del “petto travestito” per pagare meno dazi fa così concorrenza sleale agli allevatori italiani, che affrontano costi di produzione maggiori e che, nell’ultimo anno, si sono visti tagliare di oltre 2,6 milioni di chili le esportazioni di polli nella Ue, mentre quelle verso l’Ucraina sono crollate del 65,8%».
L’Italia è uno dei primi produttori di carni avicole
Del pollo ucraino l’Italia potrebbe anche farne a meno, dal momento che il nostro Paese è uno dei maggiori produttori del continente di carni avicole.
Secondo i dati dell’associazione, l’Italia detiene il 9% della quota europea di produzione, con 1,3 milioni di tonnellate di carni avicole. Nella classifica è preceduta dalla Germania con il 10%, dalla Spagna e dalla Francia con l’11% e dal Regno Unito con il 13%.
In cima alla classifica figura, invece, la Polonia che si piazza al primo posto con il 16% del totale.
«La produzione italiana rende il Paese autosufficiente sul fronte dei consumi interni, pari a oltre 20 chili pro capite, e tutela la sovranità alimentare nazionale in questo comparto. Da Nord a Sud del Paese – conclude Coldiretti – ci sono 18.500 allevamenti con una filiera che, con oltre 55mila addetti, comprende anche 400 stabilimenti per la produzione di mangimi, 174 macelli piccoli e grandi e oltre 500 stabilimenti per la trasformazione».
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com