Gli oceani sono alla base della vita sul nostro pianeta. Regolano il clima e il ciclo dell’acqua, contribuiscono alla produzione dell’ossigeno atmosferico e sono il principale sistema di assorbimento dell’anidride carbonica presente nell’aria. Ci offrono cibo e risorse energetiche. Eppure, oggi l’umanità sembra in grado di danneggiare irrimediabilmente un ecosistema che, fino a pochi decenni fa, appariva del tutto inattaccabile: talmente vasto da occupare quasi tre quarti della superficie del pianeta, talmente sconosciuto da concederci il dubbio che nulla, al suo interno, potesse cambiare.
Poi, piano piano, la nostra visione degli oceani è cambiata. Sono arrivati alcuni grandi esploratori e inventori, come William Beebe o Jacques-Ives Cousteau, a sviluppare nuove tecnologie per conoscere quel mondo inesplorato. Si sono raggiunti i fondali più profondi e, con i progressi nella subacquea, chiunque ha potuto scoprire la bellezza del mondo sottomarino. Insieme a questi pionieri, tantissimi altri grandi oceanografi ci hanno aiutato a capire e conoscere meglio il blu del nostro “pianeta blu”. E ben presto si è scoperto che la pesca incontrollata, l’inquinamento, i disastri petroliferi e l’acidificazione delle acque lo potevano danneggiare irreversibilmente.
Sylvia Earle è attualmente una delle più famose attiviste nel campo. Nata nel New Jersey, ma trasferitasi in giovane età in Florida, dei cui mari s’innamorò, la Earle è oggi un punto di riferimento per tutte le persone che hanno a cuore il futuro dei nostri oceani. Decenni di esplorazioni nei mari delle Galapagos, di Panama, delle Isole Vergini, della Cina e poi di ogni altro angolo dei mari del pianeta la rendono una delle persone che, più di ogni altra, ha osservato da vicino il nostro mondo da sotto il pelo dell’acqua.
Partecipò al progetto Tektite negli anni Settanta, vivendo in una struttura subacquea; poi studiò le rotte di spostamento dei capodogli nel Pacifico e testò nuovi veicoli per l’esplorazione marina; nel 1979, nelle acque di Oahu, alle Hawaii, batté il record femminile di immersione raggiungendo i 381 metri di profondità con la Jim Suit, uno scafandro rivoluzionario per l’epoca. Poi lavorò come chief scientist per la NOAA, compì esplorazioni per la National Geographic Society e guidò le ricerche sull’impatto dei disastri petroliferi della Exxon Valdez e della Deepwater Horizon.
Oggi, Sylvia “Her Deepness” Earle per 300 giorni all’anno incontra platee di tutto il mondo, per convincerle che gli oceani hanno bisogno di protezione urgente. La scienziata ha, infatti, creato Mission Blue, un progetto volto alla creazione di una rete di aree marine protette in tutto il mondo. Il punto di partenza sarà l’identificazione di aree marine di particolare bellezza e fondamentali dal punto di vista della biodiversità, intitolate Hope spots, ossia “luoghi della speranza”.
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