In questi ultimi giorni si sono sollevate alcune questioni ambientali su “The floating piers”, la famosa passerella di Christo sul lago d’Iseo.
Un’opera di quelle dimensioni e con quel flusso di persone rappresenta un disturbo non da poco per il sensibile ecosistema di un lago, ed è legittimo chiedersi se e quali modi ci sono per minimizzarne l’impatto.
Qualche sera fa però mi è capitato di leggere un articolo del famoso Luca Mercalli e con grande delusione non vi ho trovato riflessioni sugli aspetti ambientali, ma una serie di critiche incoerenti e presuntuose.
Un monologo da ambientalista anni ’80, che si eleva a un grado infinitamente più alto rispetto a quel milione di persone che a suo dire prova una “Ingenua e infantile gioia delirante”.
Mercalli si scaglia contro la massa, mettendo in dubbio l’autenticità delle sensazioni di chi ha partecipato all’evento, sfoderando un sarcasmo triste con cui tenta di ridurre tutto a “camminare su un telo di plastica posato su taniche vuote sopra le acque di un lago prealpino reso infrequentabile dalla folla”.
Certo ognuno è libero di vederla come vuole, di concepire l’arte contemporanea come meglio crede e di criticare il consumismo di massa, ma da uno scienziato popolare come Mercalli uno si aspetta qualcosina di più. La presunzione del suo atteggiamento, finisce con lo spostare l’attenzione da riflessioni che sarebbero sensate e legittime.
È utile ad esempio mantenere alta l’attenzione sullo smaltimento dell’enorme quantità di materiali utilizzata per l’opera, è inutile invece sfoderare la solita invettiva contro il cittadino comune, sulle emissioni di CO2, senza alcun dato preciso. Non serve a niente nemmeno lanciarsi in una critica al significato simbolico dell’opera, senza neanche prendersi la briga di leggersi due righe sulla biografia dell’artista.
Ad esempio il fatto che Christo sul suo sito abbia dichiarato che una volta terminato l’evento non sarà possibile acquistare i materiali perché verranno interamente riciclati, io lo interpreto come un ottimo segnale, in un mondo di consumo come quello dell’arte.
Mercalli invece ipotizza che questo possa non avvenire perché le procedure di smaltimento (sul sito di un artista) non sono meglio specificate, in una sola parola: pretestuoso.
Certamente The Floating Piers è un evento di massa e consumistico, ma non è diverso da altre mete turistiche, da un concerto, da un programma televisivo.
Forse Mercalli mentre scriveva dell’edonismo dissipativo delle masse si era dimenticato di essere un personaggio televisivo, con un programma seguito da quasi un milione di persone…
I personaggi che fanno scienza in tv dovrebbero avere la capacità di dialogare con le masse, non la supponenza di mettersi su un piano rialzato a spiegare come si vive.
Io sono andato a camminare su The Floating Piers, ho preso il treno, ho visto un posto bellissimo e che non conoscevo come il lago d’Iseo (e sicuramente ci tornerò), ho chiacchierato con una signora che vive sul Monte Isola e che cominciava ad essere stanca di tutta quella gente. Ho partecipato consapevolmente ad un evento di massa, una sorta di rituale collettivo che mi è sembrato ben diverso dalla “semplice gita in battello” a cui fa riferimento Mercalli. Eppure anche io sono profondamente ambientalista e cerco di combattere come posso il consumismo sfrenato, compro cose usate, mi muovo quasi sempre a piedi o in bici, sto attento ai consumi e cerco pure di fare nel mio piccolo divulgazione scientifica.
Però vivo nel mondo, nella contemporaneità, faccio per forza parte di una massa e mi sento profondamente offeso dall’articolo di Mercalli. Permettersi di giudicare, in un solo colpo, le intenzioni di un milione di persone è davvero poco scientifico e pochissimo serio.
Chi ha la pretesa e la responsabilità di diffondere un messaggio, dovrebbe calarsi nel contesto di chi quel messaggio lo riceverà, non vivere in una realtà parallela al resto del mondo.
Parlando di cose serie invece, una proposta decisamente interessante l’ha avanzata il prof. Marco Pilotti dell’Università di Brescia: i piloni di cemento usati per ancorare la passerella verranno rimossi al termine dell’evento, il professor Pilotti però fa notare che dal punto di vista ambientale questo rappresenta un rischio oltre che un costo. La rimozione dei piloni manderebbe in sospensione una grande quantità di sedimenti del fondale che sono carichi di fosforo e altri inquinanti accumulati in anni di attività intorno al lago, causando un disturbo che quell’ecosistema non riuscirebbe a riassorbire in tempi brevi. I blocchi di cemento sono inerti e per questo Pilotti propone di lasciarli lì dove sono, evitando così un inutile rischio per l’ambiente e risparmiando un bel po’ di soldi che, parole sue, potrebbero essere investiti in qualche dottorato di ricerca nell’Università di Brescia.
Sul fatto che senza i piloni, non saremmo a domandarci come smaltirli o lasciarli – eternamente inutili – in mezzo al lago… Ecco, questo sarebbe stato lo spunto concreto per le invettive del popolare scienziato.
Alla fine non ci resta che provare a restituire alla Land Art uno dei suoi significati simbolici, e come auspica Giulio Sesana, chimico, ex direttore dell’Arpa di Brescia: “ L’opera serva a fare luce sulle altre criticità ambientali del lago”.
Illustrazione: Silvia Venturi
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