L’americano Thomas Hunt Morgan (1866-1945), premio Nobel per la medicina nel 1933, è stato uno dei padri della genetica moderna. Tra le sue tante ricerche sperimentali, quella che più di tutte lo consegnò alla storia della scienza riguardò il piccolo moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). Questo insetto è il sogno dei genetisti: si alleva con facilità e costi limitatissimi in spazi piccoli; si nutre di frutta marcescente e non ha particolari altre esigenze per sopravvivere e riprodursi; ha solo quattro coppie di cromosomi, molto grandi e facili da osservare al microscopio; raggiunge la maturità sessuale nel giro di una settimana, e ogni femmina depone centinaia di uova a ogni generazione.
Se occorrono grandi numeri per avere dati statistici significativi, difficile trovare un soggetto di studio più adatto. Morgan, seguendo la teoria delle mutazioni del biologo olandese Hugo de Vries (uno dei “riscopritori” degli studi di Mendel), che prevedeva la comparsa improvvisa, da una generazione all’altra, di individui con caratteri del tutto nuovi, cercava moscerini con caratteristiche mai viste prima.
E finalmente arrivò un moscerino con gli occhi bianchi
Ma, dopo due anni passati in un piccolo laboratorio alla Columbia University a bombardare i moscerini di raggi X, tossine e vari componenti chimici nella speranza di vedere qualche insetto dall’aspetto inedito, Morgan non trovò nulla. Il suo collega Fernandus Payne provò ad allevare gli insetti al buio, nella speranza di selezionare qualche individuo privo di occhi dalla nascita, ma rinunciò per frustrazione dopo 69 generazioni. Nel 1910, però, ci fu finalmente una svolta: in mezzo a migliaia di esemplari di moscerini con gli occhi rossi, Morgan ne notò uno con gli occhi completamente bianchi.
Lo scienziato raccolse l’individuo e lo conservò in un barattolo che portò a casa. Lo conservò sul comodino, a fianco del letto in cui, in quei giorni, dormiva da solo: sua moglie era in ospedale, impegnata a partorire loro figlio. Quando Morgan andò a trovarla, la leggenda vuole che la moglie, come prima cosa, gli chiese informazioni sul moscerino e, solo dopo una lunga e accurata descrizione del prezioso insetto, lo scienziato si premurò di chiedere come stava il bambino.
La scoperta dei caratteri legati al sesso
Dopo una settimana, il moscerino dagli occhi bianchi aveva raggiunto la maturità sessuale. Dagli incroci che Morgan effettuò nacquero ben 1237 ibridi, tutti con gli occhi rossi. Si trattava quindi di una indiscutibile conferma della legge della dominanza di Mendel: gli occhi rossi erano dominanti, quelli bianchi recessivi.
Incrociando tra di loro questi ibridi, nella seconda generazione anche la legge della segregazione di Mendel venne confermata: gli esemplari erano suddivisi in un rapporto di 3:1 tra dominanti con gli occhi rossi e recessivi con gli occhi bianchi. Ma, rispetto agli esperimenti di Mendel sul pisello, c’era un dettaglio in più questa volta, che riguardava il sesso dei moscerini dagli occhi bianchi: erano tutti maschi.
Morgan intuì che si trattava di un carattere legato ai cromosomi sessuali. I biologi del tempo avevano già capito che le femmine erano omozigote per quei cromosomi (XX), mentre i maschi (XY) avevano un lungo cromosoma X associato a uno più piccolo e corto, indicato con Y. Nello specifico, il gene degli occhi bianchi risiedeva sul cromosoma X.
Se, infatti, una femmina aveva il raro gene recessivo su un solo cromosoma X, questo era mascherato nella sua espressione esterna dall’altro cromosoma X su cui era presente l’allele degli occhi rossi, mentre nei maschi il cromosoma Y non portava un corrispettivo allele a nascondere gli effetti del gene mutante.
Un grande passo in avanti per tutta la genetica
Morgan intuì che quando un carattere si presentava con frequenza molto più alta nei maschi il suo gene era, con ogni probabilità, presente sul cromosoma sessuale X. Ben presto si iniziò a parlare di “caratteri legati al sesso”, ossia regolati da geni situati sui cromosomi sessuali. Morgan definì la caratteristica degli occhi bianchi una “mutazione”, ispirandosi alla teoria delle mutazioni di de Vries, aggiungendo così un tassello fondamentale alla conoscenza dei meccanismi della trasmissione ereditaria.
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