Il 43% delle specie di uccelli censiti in 26 differenti biotopi del Trentino è aumentato.
È quanto emerge dallo studio del MUSE – Museo delle Scienze, pubblicato sulla rivista internazionale Biological Conservation.
3 decenni di protezione degli uccelli in Trentino
Gli uccelli sono degli ottimi bioindicatori dello stato di salute degli ambienti. E i risultati ottenuti attraverso i monitoraggi ornitologici, nel periodo 1989-2019, confermano l’efficacia dei primi 30 anni di protezione delle zone umide nelle vallate alpine del Trentino.
D’altra parte, contro l’espansione del 43% dell’avifauna acquatica, il 26% ha subito una riduzione.
L’importanza di guardar lontano
«La creazione di questo sistema di aree protette – afferma Paolo Pedrini, naturalista, responsabile della Sezione di Zoologia dei Vertebrati del MUSE – si è rivelata un’azione lungimirante, capace di salvare gli ultimi preziosi scampoli di zone umide naturali del territorio provinciale e favorire il ritorno o l’espansione, come anche l’insediamento, di specie un tempo localizzate o che addirittura non nidificavano sul territorio provinciale».
Si può ancora migliorare
Un successo che può crescere, arrivato anche grazie a varie azioni di tutela, fra cui il divieto di caccia.
Mattia Brambilla, consulente scientifico e primo autore dello studio aggiunge: «Se consideriamo il livello di specializzazione ecologica delle specie analizzate, ovvero il loro legame con particolari habitat, possiamo notare come quelle in espansione siano prevalentemente le specie in grado di adattarsi ad habitat piuttosto diversi fra loro, sebbene siano comunque legati a laghi, fiumi e paludi. Altre, come il Cannareccione o il Migliarino di Palude o gli ormai pochi pallidi dei prati umidi, con esigenze molto più specifiche, appaiono comunque in regresso».
Il programma di gestione
Lo studio del MUSE evidenzia che le specie di uccelli in aumento in Trentino sono in gran parte specie comuni e hanno un andamento favorevole anche a livello nazionale ed europeo. Mentre le specie in contrazione in provincia di Trento, sono in una condizione sfavorevole anche nel resto d’Italia.
Queste differenze evidenziano che la conservazione di zone umide isolate tra loro non è sufficiente a preservare specie più esigenti e legate ad habitat particolari. Per questa ragione sarebbe necessario un programma di gestione degli habitat in vasta scala specificatamente orientato verso le esigenze dell’avifauna.
Oltre alle aree protette
Pedrini conclude affermando che è necessario andare fuori dalle aree protette, «riqualificando, o ripristinando, le aree degradate o bonificate ai margini di terreni coltivati, ricreando canneti lungo le rive di laghi e fiumi principali, ampliando la rete di fossi e canali, per migliorare così la connettività ecologica fra i tanti piccoli ambienti residuali, come le zone umide, utili alla conservazione degli ‘specialisti’ […]».
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