All’ombra di un’acacia può accadere di scovare un caracal, la cosiddetta lince africana, dal pelo rosso bruno e le orecchie a punta, oppure il gatto selvatico africano, simile a un nostro gatto domestico, ma con il pelo rado e più chiaro e una corporatura agile e robusta.
Nell’inverno australe, viste le temperature miti, questi carnivori possono essere in attività anche di giorno, regalando osservazioni memorabili. Gli avvistamenti dei felidi però non sono “garantiti”, come avviene in altre aree protette.
Il Kalahari è un luogo vasto e quindi poco prevedibile, ideale per osservare specie che pochi conoscono, ma che qui hanno la loro roccaforte.
Come la iena bruna, un vero fantasma dei deserti, con il suo manto di peli lunghi e bruni e i caratteristici calzini chiari con barre più scure. Esclusiva delle savane più aride dell’Africa meridionale, si adatta a mangiare qualunque cosa, compresi i meloni del deserto e piccoli animali, ma non va sottovalutata, perché è in grado di scacciare facilmente un ghepardo dalla preda appena catturata.
Scendendo di taglia c’è il tasso del miele o ratele, un mammifero dal pessimo carattere affine al nostro tasso, il curioso otocione, simile a una volpe, ma con orecchie fuori misura che utilizza per scovare gli insetti nel terreno o la piccola volpe del Capo.
E poi ratti fischianti, scoiattoli di terra e diverse specie di manguste, tra cui i famosi suricati.
Professionista della sopravvivenza nel deserto
Un erbivoro che merita un posto di primo piano nell’ecosistema del Kalahari è l’orice: con le sue corna lunghissime e appuntite e i disegni eleganti sul corpo è immediatamente riconoscibile. Più di qualunque altra antilope, è una professionista della sopravvivenza nel deserto: se la cava anche in assenza di acqua, alimentandosi con la componente succulenta della vegetazione.
Molti degli erbivori che vivono qui, come gli springbok (antilopi saltanti) e i più piccoli steenbok (raficeri campestri), presentano adattamenti che consentono loro di sopravvivere in questo ambiente arido, ma non tutti possono essere definiti indipendenti dall’acqua.
Le grandi giraffe, gli gnu e i kudu, per esempio, vengono a bere regolarmente alle pozze, molte delle quali sono artificiali e mantenute dal personale dei Parchi per sostenere gli animali e facilitare le osservazioni. «Nella stagione più arida è importante capire dove sono concentrate le grandi mandrie di erbivori – racconta la guida Philipp Conradie, che conduce tour in Africa meridionale da più di 20 anni – passando da un pozza all’altra e seguendo le tracce sul terreno e la vegetazione lungo le piste. Alcune raccolte d’acqua sono migliori di altre, perché consentono anche di osservare spettacoli insoliti, come la caccia degli sciacalli agli uccelli che vengono a bere».
Il Kalahari regala sempre grandi soddisfazioni, ma non c’è nulla di scontato e bisogna essere preparati a guidare un bel po’. Fa piacere sapere che, per una volta, una regione così ricca di vita non è fortemente minacciata dalle attività umane.
In alcune aree l’allevamento del bestiame e la costruzione di recinti limitano gli spostamenti delle mandrie di animali selvatici, in particolare delle specie meno adattate ai luoghi aridi, come gli gnu, ma oggi circa 1/5 del grande ecosistema del Kalahari è protetto e per il resto in buono stato di conservazione. Merito della volontà di Botswana e Sudafrica, ma anche della bassissima densità di popolazione. «Il Kalahari – racconta Philipp – è un luogo speciale che ho imparato ad apprezzare nel corso degli anni. In inverno la luce bassa del sole e la polvere in sospensione nell’aria secca regalano atmosfere straordinarie all’alba e al tramonto. E poi non è mai affollato, spesso ci si trova da soli ad osservare un gruppo di leoni, anche in alta stagione».
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Le aride savane del Kalahari, un luogo ricco di vita