Il suo nome scientifico è Pollicipes polymerus. Sembra un incantesimo di Harry Potter, ma così non è, nonostante il suono misterioso che, in verità, si ripete in molti nomi scientifici di animali e piante. I non addetti ai lavori faranno fatica a riconoscere un crostaceo negli organismi ritratti in questa foto, scattata nelle fredde acque del Pacifico settentrionale che bagnano le coste della British Columbia, e che devo nuovamente alla cortesia di David Salvatori, lo stesso autore dell’immagine di cormorano apparsa in un precedente articolo che potete leggere QUI.
Il mancato riconoscimento è più che giustificato perché i cirripedi – l’infraclasse di crostacei a cui appartiene questa specie – rivelano la propria appartenenza a questi ultimi soltanto se si studiano gli stadi larvali. Una volta adulti i cirripedi, che sulle nostre coste sono conosciuti principalmente sotto forma di balani o denti di cane, perdono qualunque somiglianza con granchi, aragoste e loro simili e possono assumere forme insolite per un crostaceo, come quelle del Pollicipes di cui ci stiamo occupando.
Conosciuto localmente come Gooseneck barnacle (traducibile letteralmente come “cirripede collo d’oca”), il Pollicipes polymerus alias “Pp” è costituito da due parti: un robusto peduncolo, lungo fino a 15 cm, con cui resta aggrappato alle rocce, e una parte terminale più cospicua, detto “capitulum” che misura fino a 5 cm ed è rivestita esternamente da bianche placche calcaree destinate a proteggere gli organi principali dell’animale.
Così strutturato, il nostro strano crostaceo vive abitualmente nella fascia di marea, pur potendosi ritrovare fino a 30 metri di profondità. In questa zona difficile, dove periodicamente viene ricoperto dal mare o lasciato all’asciutto e corre il rischio di essere divelto durante le grandi mareggiate, il nostro “Pp” vive fino a vent’anni formando fitti popolamenti che tendono a concentrarsi in corrispondenza di canali rocciosi e spaccature dove il Pollicipes può utilizzare i suoi arti piumati per filtrare detriti e plancton trasportati dall’acqua che ritorna nell’oceano.
La foto scattata da David ha un’altra particolarità: la tinta di questi cirripedi. L’indimenticabile Enzo Jannacci l’avrebbe descritta “bianca e rossa che pareva il tricolore (cfr. “El purtava i scarp de tennis”) e, infatti, così è.
Ma c’è di più. I “Pp” in condizioni normali hanno una tinta scura, quasi nerastra, dovuta a particolari pigmenti che hanno il compito di proteggere i tessuti dell’animale dai raggi solari, praticamente sono crostacei abbronzati.
Quelli che vedete, invece, appartengono alla varietà Nakwakto, così chiamata perché tipica dell’omonimo tratto di costa lungo lo stretto di Slingsby. In questa zona i “Pp” tendono a concentrarsi in zone scarsamente illuminate dal sole e quindi perdono l’abbronzatura, mettendo in mostra il rosso dovuto all’emoglobina contenuta nel loro sangue.
La morale? La Natura è sempre misteriosa finché non scopriamo il perché, ma il bello è che il mistero risolto non rende meno affascinante il mondo che ci circonda.
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