Non passa giorno senza che arrivi una nuova notizia riguardante il mondo dei vaccini. L’ultima concerne un piccolo di quindici mesi che, nel leccese, dopo essere stato vaccinato contro morbillo, parotite, rosolia e varicella, è stato trasportato d’urgenza in ospedale con febbre a 40 e convulsioni. Ora il bimbo sta bene, ma per l’ennesima volta il dibattito si accende: i vaccini fanno bene o male? Il problema è che spesso si prendono posizioni non sapendo bene di che cosa si sta parlando. Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
Alle origini dei vaccini
L’idea del vaccino risale all’antichità, quando ci si rese conto che alcune malattie infettive non si ripetevano se un individuo superava il primo attacco. Accadeva, per esempio, con il vaiolo, morbo causato dal virus Variola, che fino al Settecento, solo in Europa, provocava 400mila morti ogni anno. E non è un caso che il personale medico che si occupava dei malati di vaiolo fosse rappresentato da individui che erano già stati colpiti dalla malattia: si era infatti certi che non si sarebbe ripetuta. Ci si può riferire anche alla Guerra del Peloponneso, avvenuta 2500 anni fa: ci fu un’ondata di peste che sconvolse le città di Atene e Sparta, e che consentì ai medici di intuire che se una persona superava il primo attacco del batterio Yersinia pestis, poi era immune dal male.
Cosa succedeva a livello fisiologico
Il sistema immunitario di un individuo era in grado di riconoscere le caratteristiche di un agente patogeno e di conseguenza poteva annientarlo. Riguardava la produzione di anticorpi, molecole di natura proteica che si oppongono a virus o batteri. Ed è su questa base che si iniziò a praticare consapevolmente la vaccinazione. I primi test iniziano 3mila anni fa in India e in Cina; poi in Africa e nei Balcani. Si parla di vaiolizzazione, per contrastare il vaiolo (oggi malattia completamente eradicata); facendo respirare a un individuo da immunizzare una polvere ricavata dalle croste di un convalescente. Il mondo moderno praticò questa tecnica per la prima volta nel 1717, quando Mary Wortley Montague, moglie dell’ambasciatore inglese in Turchia, la sperimentò sui suoi due figli. Non era comunque la vaccinazione di oggi. Con questo sistema, infatti, era frequente che un individuo, anziché immunizzarsi, moriva per l’esacerbazione del male. Molti medici perirono per avere tentato la cura su se stessi.
La svolta col vaiolo
La rivoluzione giunse con il medico e chirurgo inglese Edward Jenner nel 1798; che osservò le mungitrici colpite dal vaiolo bovino, che non venivano intaccate dalla malattia. Sperimentò su un bimbo di otto anni la sua teoria con successo: trattato con vaiolo bovino, il piccolo dopo due mesi, in seguito a un’epidemia, non subì alcun danno. Il traguardo di Jenner fu bissato da Louis Pasteur, il primo microbiologo della storia. Si occupò di colera, malattia provocata dal batterio Vibrio cholera, che ancora oggi coinvolge tre milioni di persone ogni anno. Le colture del bacillo del colera esposte all’aria perdevano la loro virulenza, e inoculate nelle galline impedivano che si sviluppasse la malattia. In seguito operò in questo senso su un ragazzo di nove anni, tal Joseph Meister, che era stato morso da un animale rabbioso. Si servì d’inoculazioni di emulsioni di midollo spinale infetto essiccato, e la rabbia non si manifestò.
Il dibattito attuale
E oggi? Si sta assistendo a un aspro dibattito, perché c’è una fetta della popolazione (e una piccola parte dell’intellighenzia medica) convinta che i vaccini facciano male. Benché luminari come Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano dicano da tempo che è solo una “moda” non fidarsi dei vaccini. Non esistono studi seri a suffragio di questa tesi. Ma è certo che i rischi, per i non vaccinati, potrebbero essere molto gravi. Il morbillo, per esempio, è tornato a mordere. Ed è giustificato dal fatto che le vaccinazioni sono ferme all’80%, contro il 95% dell’Inghilterra. Remano contro vari opinion leader e alcuni medici che con i loro pensieri riescono a influenzare il parere generale della popolazione. Iniziò Andrew Wakefield un ex medico e chirurgo britannico che mise in relazione il vaccino per il morbillo e la rosolia con lo sviluppo dell’autismo, grave disturbo del neosviluppo. Nel 1998 pubblicò le sue conclusioni sulla prestigiosa rivista The Lancet, riferendosi ai risultati di colonscopie condotte su dodici bimbi affetti da autismo. Poi però venne radiato per avere certificato studi infondati. Accade anche in Italia.
La pediatra Gabriella Lesmo è in prima linea nel movimento no vax italiano; ma ora rischia di essere radiata dall’ordine dei medici. I riferimenti alla letteratura medica sono, dunque, frammentari e non documentabili. Perciò non possono essere presi davvero in considerazione. Un esempio è quello relativo alla ricerca diffusa dal giornalista Dan Olmsted del Washington Times, secondo la quale i cristiani Amish americani non presentano casi di autismo perché non si vaccinano. Le comunità analizzate – sulla base del fatto che in media l’autismo colpisce un bambino su ottanta nuovi nati – avrebbero dovuto mettere in luce almeno duecento casi di bimbi autistici, mentre il dato si è fermato a tre. Ma quali sono le fonti? Qual è il centro di ricerca coinvolto nella disanima? Esistono pubblicazioni ufficiali a riguardo? Non esiste nulla, se non il pressapochismo di un giornalismo che ha diffuso dati non veri. E’ solo un inizio. Ma se si vuole fare chiarezza su un tema tanto delicato si dovrebbe partire da questa consapevolezza.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com