Il Pastore
Com’è dolce la sorte del Pastore!
Vaga dal far del giorno fino a sera,
seguendo le sue pecore, e la sua bocca
gli s’empie di preghiere nell’udirel’innocente richiamo dell’agnello,
e della madre la risposta tenera.
Vigila mentre loro stanno in pace,
sapendo che il Pastore gli è vicino.
Parlare di William Blake significa andare al di là di quello che si legge (ma del resto quale poeta si ferma all’inchiostro?); significa sapere che dietro a dei versi apparentemente semplici, ci sono riferimenti e simboli archetipici, esperienziali che riportano l’attenzione in un’altra dimensione. Non vuole però esser questa la sede in cui approfondire questi aspetti. Ora si vuole assaporare solamente l’immagine genuina che la poesia ci trasmette, senza nulla togliere all’aspetto simbolico di Blake, ma senza anche aggiungere strampalate osservazioni di interpretazione.
Questi versi ci trasmettono una quiete incredibile, che sorge dall’equilibrio rappresentato: un uomo, un pastore, che vive a stretto contatto con i suoi animali. Ma l’elemento che fa compiere un salto in più è il fatto che il pastore non sta semplicemente allevando pecore; non sta solamente portando al pascolo alcuni animali che ha ereditato. Ci piace immaginare che lui abbia scelto di essere pastore e con uno stile particolare: osserva il suo gregge, lo ascolta e vive con le sue pecore, altrimenti gli sarebbe sfuggito il richiamo dell’agnello e la tenera risposta della madre. Egli vigila sulle pecore e loro stanno in pace perché sanno che lui è lì.
Questo equilibrio è primordiale, è legato ad un tempo in cui l’uomo conosceva il significato del prendersi cura del mondo intorno a sé e degli altri esseri viventi con cui condividere questo luogo meraviglioso.
Questo può essere anche solo un punto di partenza. Lascio a ciascuno la libertà e la possibilità di cercare i differenti (e forse evidenti) aspetti simbolici.
William Blake (1757-1827), poeta, incisore e pittore inglese.
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