I cambiamenti climatici rendono sempre più aggredibile l’Oceano Artico, che senza la protezione data dai ghiacci, rischia di essere sfruttato in maniera eccessiva, andando a compromettere una delle ultime casseforti della vita del pianeta. La protezione naturale di cui godeva quest’area marina fino a poco tempo addietro è venuta a mancare a causa della progressiva contrazione della superficie ghiacciata, oramai tanto compromessa da consentire l’attraversamento delle navi anche a scopi commerciali, con conseguente aumento dell’inquinamento creato proprio dal traffico marittimo.
Per questo ai primi di dicembre nove paesi – Stati Uniti, Canada, Russia, Norvegia, Danimarca/Groenlandia, Giappone, Islanda, Corea del Sud – e l’Unione Europea hanno deciso di stabilire una moratoria per quanto concerne lo sfruttamento dello stock ittico, dichiarando che per almeno 16 anni rinunceranno a esercitare la pesca nell’Oceano Artico. I firmatari del trattato si impegneranno anche a promuovere studi scientifici che possano fornire un quadro più preciso del complesso ecosistema, fino a ora poco accessibile. Per la prima volta i governi dei paesi più importanti del pianeta si sono accordati per tutelare una superficie marina ben più grande del Mar Mediterraneo. La consapevolezza che il riscaldamento del pianeta, provocato principalmente dall’utilizzo di carburanti fossili, potrà portare alla scomparsa della calotta artica in un tempo di pochi lustri ha costretto gli Stati ad adottare strategie di tutela completamente nuove, che per la prima volta hanno coinvolto davvero tutte le parti interessate.
Il continente Artico subirà e ha già subito le mutazioni più radicali causate dal riscaldamento globale sul pianeta Terra. Non sono ancora note le conseguenze che deriveranno dallo scioglimento dei ghiacci, non essendoci possibili analogie con situazioni già accadute. Di fronte all’incognita derivante da questa situazione che pare oramai inarrestabile si è scelto di mettere in campo una politica di mitigazione del danno, rinunciando allo sfruttamento delle risorse naturali, almeno sino a quando il quadro e gli effetti derivanti non saranno più chiari.
L’alterazione ambientale rischia di causare l’estinzione di diverse specie, una fra tutte l’orso bianco. Il re dei ghiacci, infatti, è già ora pesantemente penalizzato dal ritiro dei ghiacci che impediscono il suo libero spostamento sull’Oceano Artico per andare a caccia di foche. Hanno commosso il mondo i filmati di orsi alla deriva, imprigionati in mezzo al mare aperto su zattere di ghiaccio, ormai troppo lontani dalla banchisa. Per l’orso l’innalzamento della temperatura non significa solo scioglimento dei ghiacci ma anche la sparizione delle prede poste alla base della sua alimentazione, come le foche e i trichechi.
La consapevolezza di questo cambiamento radicale dell’ecosistema artico e la non conoscenza delle conseguenze che questi mutamenti potranno imprimere all’intera area ha portato a i governi a essere prudenti con azioni che dapprima avevano coinvolto soltanto i paesi che si affacciavano sul circolo polare artico. Tuttavia è subito apparso evidente che fosse necessario coinvolgere tutte le realtà che avevano grandi flotte di battelli da pesca, perché una protezione solamente parziale poteva non essere sufficiente per raggiungere gli effetti sperati.
La grande scommessa di tutelare l’Oceano Artico passerà inevitabilmente anche dalla capacità degli Stati di limitare le emissioni dei gas serra, responsabili dell’innalzamento termico e di buona parte degli sconvolgimenti ambientali che si stanno verificando in questi ultimi anni.
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