Complice la nota statuetta televisiva (Il tapiro d’oro), che dal 1996 viene assegnata a personaggi che si sono distinti per comportamenti riprovevoli, in Italia il tapiro è spesso considerato un animale ridicolo, piccolo e goffo, capace di imprese sciocche e, per questo, degno di poco conto. Una reputazione così diffusa che la stessa enciclopedia Treccani gli ha dedicato un aggettivo, “attapirato”, che descriverebbe uno stato d’animo negativo e tipico del comportamento umano.
Nonostante i fatti ci raccontino tutt’altra storia, il Tapiro di Baird qualcosa in comune con la nota statuina ce l’ha: per l’ecosistema in cui vive, i suoi escrementi sono vero e proprio oro colato.
Il grande erbivoro centroamericano, infatti, riveste un ruolo fondamentale per la stabilità degli ecosistemi neotropicali tanto da essere conosciuto come il “giardiniere della foresta”. Nutrendosi di più di 200 specie di piante diverse, e modellando la vegetazione del sottobosco al suo passaggio, il tapiro contribuisce infatti a disperderne i semi attraverso le sue feci e a diffondere i nutrimenti necessari a mantenere in salute le foreste. Un ruolo ancora più fondamentale se lo guardiamo attraverso la lente della crisi climatica. La sua scomparsa, infatti, avrebbe effetti a cascata sulle grandi foreste centroamericane, un importantissimo deposito di carbonio che rappresenta un elemento chiave nella lotta ai cambiamenti climatici di origine antropica.
A renderlo ancora più prezioso – anzi, d’oro – è il rapporto speciale con Parmentiera valerii, un albero molto raro ed endemico della Cordillera vulcanica di Guanacuaste, in Costa Rica, appartenente alla famiglia della Bignoniaceae.
«Questa specie – racconta Rojas-Jimenez – produce dei frutti dalla forma simile a quella del cetriolo che crescono letteralmente sulla corteccia. Sono così duri da poter essere aperti solo dal tapiro che, pur di mangiarli, è in grado di compiere delle vere e proprie acrobazie sostenendo il suo importante peso su due zampe per afferrarli con la sua simil-proboscide. I semi, che sono piatti, vengono facilmente digeriti dal tapiro e abbiamo notato come un’alta percentuale riesca addirittura a germogliare direttamente nelle feci dell’animale».
E, in effetti, camminando per la riserva non è difficile incontrare veri e propri cumuli di sterco a forma di palletta – molto simili a quelli del cavallo – da cui fuoriescono piccoli esemplari di Parmentiera valerii.
«Un rapporto importante e minacciato, spiega Esteban Brenes-Mora – co-fondatore della Costa Rica Wildlife Foundation e coordinatore per il Centro America di Re:wild – visto che quest’albero è minacciato di estinzione ed è stato a lungo vittima della deforestazione. Il suo legname, infatti, veniva spesso usato per costruire proprio i recinti degli allevamenti estensivi secondo un modello importato in Costa Rica dall’Europa».
Nel tentativo di contribuire alla salvaguardia di entrambe le specie, la Costa Rica Wildlife Foundation, grazie al supporto di svariati partner tra cui Franklinia – organizzazione no-profit a sostegno della conservazione degli alberi in pericolo di estinzione in tutto il mondo – ha dato vita a un progetto di riforestazione che, come spiega Donald Varela Soto, ha l’obiettivo di studiare l’attuale area di distribuzione di Parmentiera valerii, il tasso di riproduzione e dispersione, i principali fattori di minaccia, e di effettuare analisi che consentano di capire la variabilità genetica all’interno della popolazione che si trova in questa regione.
«Al momento abbiamo già piantato 400 esemplari e, nel vivaio che abbiamo allestito nella Tapir Valley, ne stiamo facendo crescere altri 600» aggiunge Varela-Soto.
Ricambio lo sguardo vispo di Mamita, mentre il suo cucciolo le corre allegramente intorno. Ancora pochi secondi e, dopo averci lanciato un’ultima occhiata, come farebbero due fantasmi, i tapiri scompaiono silenziosamente nel fitto della foresta. Che assurdità l’aver pensato di poter ascrivere a una specie così affascinante la capacità, tutta umana, di rendersi ridicoli. Sulla strada di ritorno alla macchina, ripenso alla prima volta che ho sentito il rumore di un cucciolo di rinoceronte nel mezzo della savana africana.
Due specie così lontane geograficamente e così vicine per geni e destino. Sorrido amaramente e, dentro di me, immagino un mondo in cui agli altri animali viene consegnato un piccolo uomo d’oro in risposta a ogni loro sciocco comportamento.
Leggi qui la prima parte dell’articolo. “Sulle tracce del tapiro nella foresta pluviale della Tapir Valley”
Leggi qui la seconda parte dell’articolo. “Il tapiro, un animale timido, sensibile e molto intelligente”
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