L’aretino Francesco Redi (1626-1697) è oggi considerato a buon merito il padre della biologia sperimentale e uno dei più grandi biologi della storia, italiani e non solo. Alla base di questo nome c’è l’applicazione seria, rigorosa e metodica del metodo sperimentale al campo delle scienze della vita, che per secoli andarono avanti accettando, senza critiche o dubbi, i dogmi aristotelici e degli altri autori classici.
Redi è conosciuto principalmente per essere stato il primo a dimostrare la erroneità della teoria della “generazione spontanea”, secondo cui la vita poteva generarsi autonomamente da frutta o carne marcescente.
Questa ipotesi, per quanto contestata, aveva ancora un grande seguito nel XVII secolo, quando Redi fece un semplice esperimento per dimostrare che invece la vita si originasse sempre da altra vita: mise in osservazione alcuni barattoli trasparenti con della carne marcescente, di cui alcuni chiusi e altri aperti.
Dopo pochi giorni, solo da quelli aperti emersero le larve di mosca che, secondo la visione di chi sosteneva la generazione spontanea, avrebbero dovuto invece comparire in tutti i barattoli.
Come divenne chiaro a quel punto, le mosche avevano deposto le loro uova solo là dove erano riuscite ad arrivare. Decenni dopo, sarebbe arrivato Louis Pasteur a chiudere definitivamente la questione, con esperimenti più elaborati che includevano anche l’azione dei microorganismi, quasi del tutto sconosciuti al tempo di Redi.
Fu inoltre un valido medico e uno dei primi scienziati ad approfondire il tema dei parassiti, soprattutto vermi, che infestano il corpo umano e altri animali, nel suo studio Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi del 1684. Per questi studi venne definito il padre della parassitologia moderna.
Altre ricerche di Redi riguardarono i veleni, ed in particolare il veleno di vipera. Ai tempi, si pensava che il veleno dell’animale corrispondesse al fiele (prodotto dal fegato) ma, grazie all’aiuto di un “mastro viperaio” di nome Jacopo Sozzi, dimostrò che il liquido non fosse velenoso, né tossico: il fiele di vipera poteva essere bevuto o inoculato nelle ferite senza che le cavie morissero. Redi poi proseguì nelle sue indagini fino a scoprire la vera origine del veleno del rettile, un liquido giallognolo che veniva creato da alcune apposite ghiandole presenti nel capo. E lo stesso viperaio Sozzi stupì tutti bevendo il veleno, dimostrando così che questo era tossico solo se entrava nel circolo sanguigno della vittima.
Prese Jacopo una vipera delle più bizzarre e delle più adirose, e fece a lei schizzare in un mezzo bicchier di vino non solo tutto ‘l liquore, che nelle guaine avea, ma ancora tutta la spuma e tutta la bava, che questo serpentello agitato, percosso, premuto, irritato poté rigettare, e si bevve quel vino come se fosse stato tanto giulebbo perlato. Ed il seguente giorno, con tre vipere attorcigliate insieme, fece di nuovo il medesimo giuoco, senza una paura al mondo.
In generale, Francesco Redi fu un brillante e acclamato uomo di conoscenza, a stretto contatto con la corte dei Medici e membro delle più importanti accademie scientifiche italiane. Lavorò come medico e fece ricerche in vari campi delle scienze naturali, ma fu anche un apprezzato poeta. La sua principale eredità è però l’applicazione del metodo scientifico, basato su esperimenti rigorosi e riproducibili, a campi del sapere umano che per troppo tempo erano rimasti legati alla tradizione e al sapere popolare. E, soprattutto, pose le basi per un definitivo superamento del principio di autorità, che nella scienza non ha alcun valore.
Per chi fosse interessato, è possibile leggere qui il trattato del Redi sulle vipere, in uno splendido e colorito italiano seicentesco.
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