Li chiamano animali alloctoni o specie aliene e sono sinonimi dello stesso problema: animali o vegetali che sono dove non dovrebbero essere a causa di interventi umani. Specie che si trovano nel continente europeo o nei suoi mari, laghi e fiumi senza esserne originari, ma con la capacità di adattarsi ai nuovi ecosistemi, talvolta soltanto vivendoci, altre volte anche con la capacità di riprodursi. Tra di loro, in compagnia di tartarughe dalle orecchie rosse, nutrie, parrocchetti monaci e alessandrini, c’è anche lo scoiattolo grigio, un habitué, ormai, di parchi urbani come quelli milanesi.
Quest’ultimo, detto anche scoiattolo della Carolina dal suo nome scientifico (Sciuris carolinensis), è arrivato in Europa come animale da compagnia nei primi decenni dello scorso secolo ed è stato improvvidamente liberato, in tempi in cui la tutela della biodiversità e le specie antagoniste erano un discorso lontano. Da allora il suo areale di diffusione si è espanso attraverso l’Europa continentale e il sito che si occupa di specie aliene della comunità europea lo ha inserito fra le 100 specie più invasive. La parola d’ordine è diventata eradicazione, che tradotta in concreto significa abbattimento e, solo in situazioni molto particolari, captivazione. Lo scoiattolo grigio, secondo la scienza, è un competitore delle specie europee autoctone di scoiattolo e come tale il desiderio sarebbe quello di rimuoverlo completamente dall’ambiente.
La competizione con il cugino nostrano sembra essere rivolta soprattutto alla maggior abitudine terricola dello scoiattolo grigio che in questo modo, durante l’inverno, svegliandosi molto di più durante il periodo del letargo, individua e svuota le dispense dello scoiattolo rosso. Molto ci sarebbe da dire su tutte le specie che sono arrivate nel continente europeo a causa del commercio degli animali da compagnia, i cosiddetti pet, e delle grandi responsabilità della Comunità Europea che, per quanto riguarda lo scoiattolo grigio, ha chiuso definitivamente ogni importazione e commercio soltanto dal 2013. Resta però un fatto che non può essere oggetto di smentite, l’impossibilità di effettuare l’eradicazione di specie animali e vegetali quando passano dall’essere piccoli nuclei, diventando popolazioni estese che si riproducono in areali tutt’altro che circoscritti e circoscrivibili. Nessuna operazione di eradicazione è mai stata attivata con successo in zone differenti da isole, o in altre in cui le specie presenti sono in piccolissime colonie e in territori molto limitati. La scienza fatica ad ammetterlo, ma in realtà l’eradicazione si è trasformata in una più reale operazione di contenimento numerico che, peraltro, quasi sempre fallisce. Da decenni si cerca di contenere non solo gli animali alloctoni, ma anche certe specie autoctone, come la cornacchia grigia, con un unico risultato visibile anche a un profano: aumentarne numero e diffusione. Lo stesso discorso è replicabile per le nutrie e i pappagalli, oramai diffusi e perfettamente adattati in tantissime aree del nostro paese. Per questo le uccisioni di massa risultano poco utili sotto il profilo della conservazione e per molti rappresentano un metodo da archiviare. La conservazione della fauna autoctona può passare, infatti, soltanto da attività di prevenzione per la tutela della biodiversità, evitando di sottrarre risorse economiche necessarie a questo scopo, per impiegarle in attività non risolutive come, appunto, i tentativi di eradicazione.
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