Abbiamo già visto gli impatti che i cambiamenti climatici hanno sugli ecosistemi da cui dipende la vita dei caribù (prima parte dell’articolo) e la frequenza degli incendi boschivi in Alaska, che è raddoppiata rispetto a prima del 1990 (seconda parte dell’articolo).
A manifestare un comportamento ancora più sensibile a cambiamenti climatici, incendi e sfruttamento del suolo, e ad essere quindi ancora più in pericolo, è la popolazione di Caribù dei boschi (Rangifer tarandus caribou) o Porcupine caribù, che vive in Canada e che, secondo una recente ricerca, ha subito una diminuzione del 70% nel numero di individui. E questo, ancora una volta, a causa del cambiamento nell’uso del suolo – in particolare della deforestazione e della costruzione di infrastrutture per l’estrazione di gas e petrolio – e dei cambiamenti climatici. Un paradosso se pensiamo che proprio le foreste boreali da cui dipendono i caribù sono tra i luoghi più ricchi di carbonio al mondo e che la loro distruzione ne comporta il rilascio in grandi quantità in atmosfera.
Al contrario, se proteggessimo questi luoghi, permetteremmo ai caribù di proliferare e al carbonio di rimanere nel sottosuolo. Una cosiddetta win win situation da cui guadagneremmo sicuramente tutti e che si auspica venga presa presto in considerazione. Magari durante la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica che si terrà proprio in Canada tra meno di due mesi.
Le complesse dinamiche di popolazione dei caribù
ll caribù (Rangifer tarandus) è un ungulato di medie dimensioni appartenente alla famiglia dei cervidi. Conosciuto in Europa con il nome di renna, ha distribuzione circumpolare e il suo habitat comprende la tundra artica del Nord America, la Russia e la Scandinavia. Nel mondo si contano circa 5 milioni di esemplari distribuiti in 32 popolazioni.
Ha uno sviluppato dimorfismo sessuale, con il maschio che può arrivare a misurare il doppio rispetto alla femmina. Tuttavia, è l’unico cervidae in cui gli esemplari di entrambi i sessi sviluppano le corna, rendendoli a volte indistinguibili nei primi anni di età.
La strategia riproduttiva è di tipo poliginico per cui l’accoppiamento, che avviene tra la fine di settembre e metà ottobre, è concesso solo ai maschi dominanti che si pongono a difesa del proprio harem. Le femmine hanno un solo cucciolo all’anno e la gestazione dura circa 230 giorni. Alla nascita, che avviene tra fine maggio e inizio giugno, i piccoli imparano da subito a reggersi sulle zampe e a seguire la madre. Nonostante siano molto precoci, la mortalità nei primi mesi è elevata (circa il 50%) ed è dovuta a predazione, abbandono, incidenti e fenomeni meteorologici estremi.
I caribù sono caratterizzati da complesse dinamiche di popolazione, con cicli di boom demografici e successive crisi i cui fattori scatenanti sono tuttora oggetto di indagine. Tuttavia, sembra abbastanza certo che l’habitat, la presenza di predatori, la caccia e i cambiamenti climatici giochino tutti un ruolo fondamentale. In particolare, proprio i cambiamenti climatici potrebbero avere effetti devastanti su una dinamica di popolazione già delicata favorendo e intensificando queste tendenze cicliche.
Una delle caratteristiche più affascinanti della specie è la sua incredibile capacità migratoria. Ogni anno, in primavera, quando la neve inizia a sciogliersi, le femmine gravide tornano nel luogo in cui sono nate per dare alla luce i propri cuccioli. Si spostano in risposta alla necessità di cibo e si dirigono sempre verso il limite più settentrionale del loro areale geografico dove i piccoli sono al sicuro dai predatori. Qui, infatti, grizzly, lupi e aquile reali sono presenti in minore quantità e i nuovi nati possono dirsi al sicuro nel periodo più vulnerabile della loro vita. Qualche settimana più tardi le femmine vengono raggiunte dal resto della mandria che passerà i mesi più caldi a nutrirsi. Poi, in autunno, quando le temperature iniziano ad abbassarsi, la mandria inizia a spostarsi ancora una volta verso sud ad una velocità che segue l’andamento del clima: più veloce se il freddo è minaccioso, e più lenta se le temperature rimangono alte. Ogni anno, generazione dopo generazione, questi regali erbivori si rendono protagonisti della più lunga migrazione terrestre conosciuta e arrivano a coprire una distanza pari a più di 1300 km.
Ma è proprio vero che tutti i caribù migrano? Ebbene, la risposta è no. Se alcune sottospecie di caribù si muovono seguendo gli andamenti stagionali, altre sono prettamente sedentarie compiendo, eventualmente, solo una breve migrazione altimetrica e spostandosi, quindi, verso latitudini inferiori in risposta al clima rigido. Tale caratteristica, secondo una ricerca recente, sembra trovi una motivazione scritta nei geni della specie. Storicamente, infatti, i caribù si sono evoluti secondo due linee genetiche distinte e localizzate a nord e a sud della calotta artica. Nella regione più settentrionale, dove a regnare era la tundra, i caribù hanno sviluppato un comportamento migratorio in risposta alla necessità di trovare del cibo.
Al contrario, la porzione meridionale dell’areale della specie, caratterizzato dalla presenza di una fitta foresta boreale, ha consentito ai caribù di sviluppare un comportamento sedentario.
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