In Italia se ne parla ancora poco non riguardando il Mediterraneo, ma la pesca elettrica è un problema che bisognerebbe invece considerare con attenzione anche se per il momento riguarda il solo Mare del Nord. Il rischio è che molto presto questa tipologia di cattura del pesce possa essere autorizzata dalla Comunità Europea anche in altri mari, Mediterraneo compreso. Per il momento, infatti, soltanto i pescherecci olandesi sono stati autorizzati a usare la corrente per la pesca dei pesci piatti bentonici, quelli che vivono sul fondo dell’oceano come sogliole, platesse e rombi. Questi attrezzi di pesca sono impiegati anche per la cattura dei gamberi e di altri crostacei.
Come funziona
In pratica la corrente elettrica viene utilizzata letteralmente per stanare i pesci dai fondali, proprio grazie all’impiego di scariche che li costringono a lasciare i loro nascondigli nei sedimenti delle profondità marine. La corrente però è ancora meno selettiva della pesca a strascico, colpendo con un grande potenziale distruttivo anche uova, piccoli nati e tutto l’ecosistema dei fondali. Senza contare che molto spesso il pesce viene ucciso dalle scariche elettriche senza essere nemmeno recuperato dagli attrezzi di pesca, amplificando l’impronta ecologica di questo tipo di prelievo.
Quali costi per l’ambiente marino
Ufficialmente il motivo di questa deroga concessa alle navi pescherecce olandesi sarebbe giustificato dalla riduzione dei costi, degli impatti energetici e dei danni causati sui fondali bentonici dalla pesca a strascico. Sotto il profilo dell’efficientamento energetico è stato dimostrato come, utilizzando l’elettricità come strumento di pesca, si possa arrivare a diminuire il consumo di carburante dei pescherecci anche del 50%, rispetto all’uso dello strascico tradizionale. Questo risparmio viene garantito dal minor sforzo che i pescherecci devono fare usando le attrezzature elettriche rispetto a quello necessario con l’uso dello strascico, che raggiunge pesi notevoli e comporta un grande attrito con l’acqua. Il costo ecologico di questo sistema potrebbe però risultare ben più pesante di quello della pesca a strascico, che pur rappresenta uno dei sistemi meno sostenibili proprio a causa dei danni provocati sui fondali, arati dalle catene usate per far uscire i pesci dalla sabbia. Le reti che arano senza sosta il fondo del mare rappresentano un grande ostacolo alla conservazione ambientale: per fare un paragone è come se un contadino continuasse ad arare il suo terreno anche dopo averlo seminato, distruggendo il lavoro fatto in precedenza. Il mare è un ecosistema complesso e i fondali rappresentano le zone più importanti per la riproduzione delle specie ittiche: distruggerli significa diminuire in modo drastico la capacità di rigenerazione.
Rischi sottostimati?
Ci sono in corso studi che dovrebbero valutare in modo indipendente pro e contro di questo sistema, ma il problema sta proprio nella reale indipendenza delle ricerche compiute dagli olandesi. Secondo una ricerca compiuta da IMAR, istituto olandese che si occupa di studiare l’ecosistema marino, una percentuale dei merluzzi di grande taglia pescati con il sistema dell’elettrocuzione presenta una rottura della spina dorsale, effetto collaterale proprio dell’elettricità, ma questo non basta per dare una connotazione negativa a questa tipologia di attrezzature. Ma le ricerche di IMAR, pur rilevando alcune criticità nella pesca elettrica sono giudicate scarsamente indipendenti finanziate dallo Stato olandese, tramite alcuni ministeri, e dai produttori locali di attrezzature per l’esercizio della pesca elettrica, che sono ovviamente interessati a difendere e diffondere i loro brevetti.
Secondo l’associazione francese Bloom, che si occupa della tutela del mare contro uno sfruttamento non sostenibile delle risorse e per la diffusione di buone pratiche di pesca, ci sono troppi interessi economici che girano intorno a questo metodo per poter giudicare imparziali gli studi fatti. L’associazione sostiene che l’incremento dell’uso di attrezzature per la pesca elettrica potrebbe diventare un moderno cavallo di Troia, che promettendo immediati guadagni rischia di trasformare in breve l’oceano in un deserto. Accusando gli avversari di giocare in modo non pulito, anche grazie a una disparità economica che consente a questi ultimi di mettere in campo moderni metodi di persuasione collettiva come il sito informativo sulla pesca elettrica.
Il nulla osta dell’Unione Europea
Ora la palla ritorna in modo prepotente in campo europeo in quanto la UE, che ha autorizzato alcune navi olandesi all’impiego di queste attrezzature elettriche per la pesca al fine di compiere la sperimentazione sulla loro effettiva sostenibilità. Bisogna ricordare che l’impiego dell’elettricità nella pesca è infatti vietata in Europa e anche in molti paesi del mondo come gli Stati Uniti, la Cina e il Brasile. Ora però, anche se gli studi risultano essere ancora incompleti, l’Unione potrebbe autorizzare, in deroga al divieto di utilizzo dell’elettricità, anche pescherecci delle altre nazioni europee a montare questi dispositivi. Ufficialmente sempre per compiere studi sperimentali sul minor impatto ambientale rispetto all’uso delle reti a strascico. Così però il grosso rischio è che si imbocchi una strada senza ritorno, anche per gli ingenti costi che l’industria della pesca dovrebbe sostenere e che non saranno certo messi in campo per scelte di breve periodo.
Il mare, già sfruttato dalla pesca eccessiva, ha raggiunto il limite del suo instabile e precario equilibrio: per questo motivo l’impiego di tecniche di pesca che massimizzino il prelievo, a danno dell’ecosistema, rischia di avvicinare il punto di rottura. Il pericolo in questo caso è rappresentato dalla concomitanza di più fattori: un eccesso di pesca, amplificato dai danni creati sullo strato bentonico dalla corrente e dall’uccisione senza recupero di tante risorse ittiche.
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