Il personaggio che stiamo seguendo passo-passo nella sua avventura Himalayana è l’avvocato cinquantenne milanese Mattia Conte, separato, con due figli, insomma “un uomo normale”, come si direbbe nell’attacco di un romanzo. Ma che avesse il fuoco dentro lo si era già capito quando ha abbandonato il grigiore delle aule giudiziarie per aprire un luminosissimo e glamour aparthotel all’ottavo piano in piazza San Babila, con vista sulla skyline di Milano.
Ma perché Mattia, partendo dalla metropoli lombarda si ritrova oggi in un campo base per alpinisti, sulle montagne dell’Himalaya? Tutto ha inizio un paio di anni fa durante una vacanza alle Maldive, quando legge un libro di Reinhold Messner, regalatogli dalla ex moglie. Il risultato è il più inatteso. Irresistibilmente attratto delle alte vette, già a settembre dello scorso anno, Mattia scala il Manaslu (8.163 m), ottava vetta più alta del mondo, in stile alpino e senza ossigeno. Un’impresa folle per un amatore senza esperienza e senza allenamento specifico, uno slancio da innamoramento senza limiti per quelle vette, che superano gli ottomila metri di altezza, per andare letteralmente a toccare il cielo.
Il mio primo Ottomila
Racconta Mattia della sua scalata al Manaslu: «Prima di partire dal campo base, è usanza che tutti gli alpinisti si facciano benedire l’attrezzatura dai monaci buddisti. Io, consapevole dei miei limiti, sono tornato dal monaco per farmi benedire una seconda volta! Ci ho messo 13 ore a fare gli ultimi 600 metri del tragitto, però ce l’ho fatta. Di 253 permessi rilasciati l’anno scorso, solo in 5 l’hanno scalata senza ossigeno, 4 professionisti e il sottoscritto! Quando sono sceso dalla vetta, siccome ero sempre l’ultimo – perché ovviamente gli altri erano tutti dei professionisti super preparati – erano già tutti tornati al campo base. I monaci e gli sherpa mi sono venuti incontro e mi hanno abbracciato, perché evidentemente per loro era scontato che non ce l’avrei potuta fare. Tra questi venuti a complimentarsi c’era anche colui che sarebbe diventato poi un grande amico e il mio compagno per la prossima avventura, Sergi Mingote, uno dei dieci alpinisti più forti al mondo».
Vita al Campo base in attesa si salire sul Manaslu. © Mattia Conte
Ora in coppia con Sergi Mingote verso le più alte cime Himalayane
Questo preambolo ci aiuta a capire come mai un normale avvocato cinquantenne si trovi in Pakistan, assieme ad alcuni dei nomi leggendari dell’alpinismo contemporaneo. Dopo quella prima scalata “improvvisata”, lo stesso Mattia si è reso conto dei propri limiti e, come è nel suo carattere, ha deciso di superarli. Si è sottoposto a un periodo di allenamento durissimo, supportato dai migliori specialisti; ha studiato tecnica di scalata e immaginato nuove soluzioni per l’alimentazione e l’acclimatamento.
Con il suo nuovo amico Sergi Mingote, uno dei più forti scalatori contemporanei, è partito ai primi di giugno per il Pakistan per compiere una doppia scalata in sequenza di due delle montagne più impegnative degli ottomila Himalayani: il Gasherbrum I e Gasherbrum II, noti anche con le sigle K5 e K4. L’alpinista catalano Mingote, con queste due vette, completerebbe il suo progetto di scalare 6 Ottomila in un anno, senza ossigeno, avendo già conquistato Broad Peak, K2, Manaslu e Lhotse. Il tempo non è tanto, perché deve riuscirci entro il 16 luglio, per inanellarli tutti entro l’anno.
Prima di affrontare le salite concatenate di GI e GII, i due alpinisti hanno fatto un “fuori programma” recandosi sul Nanga Parbat per una salita di acclimatamento, con l’intenzione di arrivare al Campo 3 (6.750 m). I due si sono uniti alla spedizione di Muhammad Ali Sadpara, l’alpinista pachistano con il quale Sergi aveva scalato in precedenza il Lhotse.
La Kinshofer Route, sul versante ovest del Diamir sul Nanga Parbat. © foto Guilhem Vellut – grafica La Rivista della Natura
Filo diretto con Mattia
Riportiamo, di seguito, l’ultimo scambio di messaggi fra Mattia Conte e Pietro Greppi.
16,17 odierne (19,17 in Pakistan)
«Ciao Pietro, sono Mattia.
Qui tutto bene. Sono tornato a Campo Base senza essere stato a Campo 2 perché una valanga ha impedito ogni passaggio. Inoltre sono molto stanco perché non ancora acclimatato. E quindi faccio il triplo della fatica degli altri. Ora riposerò per due giorni… poi vedremo».
Rivistanatura.com – Come stai?
«Bene, ma disintegrato. Ieri c’era qui Messner, ma io scendevo da Campo 1.
L’idea è di acclimatarsi il più possibile per le due altre vette, perché se ci mettiamo in testa di fare questa perdiamo la finestra di bel tempo per le altre (Gasherbrum I e Gasherbrum II).
Non riesco a chiamarvi perché con la telefonata dell’altro giorno ho esaurito il credito…
Ho abilitato il Garmin per gli sms. Posso scrivervi tutti i giorni se vuoi».
Rivistanatura.com – Siamo usciti ieri con il primo post. Aggiornaci ogni volta che puoi.
«Che bello. Grazie! Vi scriverò un piccolo report tutti i giorni».
Rivistanatura.com – Grazie a te! Quanto tempo ti servirebbe per un buon acclimatamento? La preparazione era comunque buona…
«Gli altri 8.000 non superano i 2.500 metri di dislivello rispetto al Campo base da cui si parte. Narga Parbat è l’Ottomila con più dislivello in assoluto, ovvero 4.000 metri. Qui tutti sono arrivati da almeno 1 mese e noi da 4 giorni. Qui potrò raggiungere il miglior acclimatamento possibile.
Salirò fino al Campo 3, ma non in vetta. Vuol dire che sarò super acclimatato per le altre montagne».
Rivistanatura.com – Come funziona la tua alimentazione “italiana”?
«Grana ok, porteremo la bresaola per pranzo e cena in altitudine e anche il miele.»
Rivistanatura.com – Non è da ridere essere sul Nanga Parbat e il Campo 3 è comunque una grande conquista…
«Potrei fare la vetta per il 12 – 15 luglio, ma perderei la possibilità di fare G1 e G2.»
Rivistanatura.com – Condividiamo. Al Nanga Parbat tornerai!
«Io non la vedo vetta o niente… per me è allenamento. Campo 3 è quasi una sconfitta, ma va ricordato che sono qui da 4 giorni. Gli altri hanno un acclimatamento fatto meno di un mese fa sull’Everest o sono qui da 1 mese… Quindi non posso pretendere…».
Ore 16,37 (19,37) Si conclude la conversazione.
“Come me, molti neonati affrontano sfide difficili”
C’è da svelare un ulteriore retroscena. Durante i faticosi allenamenti per abituare il corpo a lavorare in scarsità di ossigeno, Mattia si è ricordato del dott. Luca Ramenghi, Responsabile U.O.C. Patologia Neonatale dell’Istituto Gaslini di Genova, che ha dato vita all’Associazione no-profit Eu-Brain, per la promozione e la ricerca sulle problematiche della neurologia perinatale e dei gravi problemi di ipossia pre e durante il parto.
La spedizione è completamente autofinanziata. Tuttavia Mattia invita le realtà grandi e piccole che lo stanno sostenendo e quelle che vorranno far salire il proprio vessillo con lui sul tetto del mondo a dare una mano al dott. Ramenghi facendo una donazione alla Onlus.
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