Nel precedente articolo abbiamo lasciato Mattia Conte, l’avvocato e alpinista amatoriale amico de La Rivista della Natura, al Campo 1 del Gasherbrum dove era ridisceso per prestare soccorso allo sherpa di Sergi Mingote. Il portatore d’alta quota era stato colpito da edema cerebrale e, grazie alla determinazione e all’insistenza di Mattia, è stato trasportato in elicottero all’ospedale.
Nel frattempo, il 18 luglio Sergi Mingote è arrivato in vetta al G2. Mattia, sia a causa dell’imprevisto malore e delle operazioni di soccorso dello sherpa, sia per l’affaticamento dovuto alla quota, ha deciso prudentemente di posticipare il suo piano di salita, rimanendo sul G1 per completare il processo di acclimatamento. Mattia, infatti, vuole salire la vetta senza ossigeno, nello stile alpino di cui Reinhold Messner diventò il miglior interprete nel 1978, quando arrivò in cima all’Everest (8848 mt).
Ricordiamo che Mattia non è un alpinista professionista, ma un amatore, per quanto preparato e appassionato!
Gli effetti dell’alta quota sull’organismo umano
Durante le salite in montagna alle alte quote (3.000 – 5.500 m) e alle altissime quote (oltre i 5.500 m, come sugli Ottomila himalayani), la riduzione della pressione parziale di ossigeno nell’atmosfera provoca nell’organismo umano una situazione di ipossia, dando origine a quella sindrome chiamata “mal di montagna”. Il suo effetto più importante è costituito dalla diminuzione dell’ossigeno nel sangue. Il mal di montagna si preannuncia sempre con un leggero mal di testa e può rapidamente evolvere in edema polmonare e/o cerebrale. Sopra agli 8000 m si viene letteralmente proiettati ne “la zona della morte”, come l’ha chiamata Messner.
Ci si chiede, allora, come sia possibile che alcuni alpinisti riescano ad arrivare in vetta agli Ottomila senza usare bombole di ossigeno. La risposta è nella straordinaria capacità di adattamento dell’organismo umano che, al diminuire della pressione parziale dell’ossigeno nell’aria, subisce notevoli trasformazioni. Questo processo si chiama acclimatamento.
Acclimatarsi significa abituarsi all’altitudine. E questo deve essere fatto molto naturalmente, anche perché neppure i ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dopo anni di studio, sono ancora riusciti a comprenderne pienamente tutti i meccanismi.
L’adattamento all’alta quota non è immediato, ma necessita di molto tempo e non avviene allo stesso modo per tutti gli individui. Un modo semplice per valutare il processo di acclimatamento è misurare la saturazione dell’ossigeno nel sangue: normale se maggiore del 96%; severa deficienza di ossigeno quando sotto al 70%.
Filo diretto con Mattia
(Ultima settimana)
Riportiamo, di seguito, la sequenza temporale dello scambio di messaggi tra Mattia Conte e la redazione di Rivistanatura.com effettuati grazie al trasmettitore satellitare bidirezionale inReach di Garmin.
05,14 del 16.07 (08,14 in Pakistan)
«Ieri ho vissuto un’avventura. Ho aspettato i tre sherpa che hanno fatto la vetta del G1 con l’ossigeno, per scendere assieme a loro a Campo 1. Li ho conosciuti sul Nanga Parbat. Siamo partiti, ma la tormenta e la nebbia ci hanno sopraffatto. Ci siamo seduti ad attendere che passasse, ma dopo un’ora niente. La via è piena di crepacci e senza visibilità è morte sicura. Allora abbiamo scavato una buca nella neve per proteggerci dal vento a 100-120 km/h. Ma la temperatura di -20 gradi si faceva sentire. Siamo dovuti tornare indietro verso Campo 2 usando il gps per orientarci, perché era troppo freddo e troppo pericoloso proseguire. Ho passato la notte nella tenda, molto fredda e mi sono congelato. Siamo ripartiti questa mattina e ora sono al sicuro a Campo 1. Domani, forse, scenderò al Campo base per finire l’acclimatamento. Infatti, non sono ancora pronto per salire. Faccio fatica. A Campo 2 (6.400 m) sono arrivato con la saturazione di ossigeno al 63%, migliorata a 71% dopo la notte. Sono da solo, perché Sergi al momento è a Campo 2 del G2».
05,30 del 16.07 (08,30 in Pakistan)
Rivistanatura.com – Quasi sono i tuoi nuovi programmi, alla luce di tutti questi imprevisti?
«Oggi mi fermo a Campo 1. Domani scenderò a Campo base per recuperare energie. Dopodomani si ritorna a Campo 1; il giorno successivo andrò a Campo 2 del G2 (le due vie per G1 e G2 si biforcano tra Campo 1 e Campo 2; n.d.r.). In questo momento sto mangiando la bresaola e il miele che abbiamo preso assieme! Il pericolo della tormenta di ieri era che ci ha colti in un percorso pieno di crepacci e neve fresca, dove in assenza totale di visibilità era impossibile proseguire. Oggi ho misurato la saturazione di ossigeno qui a Campo 1 è dell’85%, contro il 73% del giorno in cui abbiamo soccorso lo sherpa».
11,21 del 17.07 (14,21 in Pakistan)
«Io ora sono a Campo base. Ho fatto delle belle foto sul ghiacciaio (che invierà non appena avrà un accesso a Internet, n.d.r.). Devo riposare, perché non sono acclimatato. Oggi ho incontrato dei russi che scendevano anche loro e ho capito che poi non sono così “pippa”! Dopodiché per salire ho bisogno di tanta energia, che ora non ho».
04,19 del 18.07 (07,19 in Pakistan)
«So che da voi è ancora l’alba, ma volevo comunicare che il mio secondo sherpa ha dato forfait, dice che non ce la faceva più. Accidenti! Sembra una maledizione. Io, invece, mi sono riposato. Oggi l’ossigeno è all’87%, mai così alto considerato che sono a 5.050 m. Ora il mio programma è mangiare 4-6 pasti, dormire tanto e recuperare un nuovo sherpa. Domani riposo, aspettando l’arrivo di Sergi che questa notte ha fatto vetta sul G2. Dopodomani partenza».
Rivistanatura.com – Tu come ti senti?
«Qui dicono che non ce la farò, perché “ho perso il treno” (sono già saliti tutti), quindi psicologicamente non sono al massimo, ma so che se fossi salito con gli altri (Sergi Mingote, Marco Confortola, gli sherpa Pechhumbe, Chhirji Norbu e Sanu, l’australiano Benjamin James, il bulgaro Atanas Skatov e l’americano Matthew Gorbett, n.d.r.), avrei fallito, perché stanco e non acclimatato. Quindi a cosa sarebbe servito? Invece, oggi la mia saturazione di ossigeno è all’89%, i piedi stanno bene. Dormirò 6-8 ore e partirò domani mattina alle 4 per Campo 1 di G2 e non mi fermerò fino a che non avrò raggiunto la vetta!».
Rivistanatura.com – E noi saliremo con te!
«Ah! Ah! Ah! Vi faccio portare dallo sherpa!».
11,52 del 19.07 (14,52 in Pakistan)
«Il 50% delle persone è tornato indietro per la difficoltà, un altro 30% è salito con l’ossigeno. Il resto ce l’ha fatta. Sergi è tornato ora stravolto… Vediamo… Sergi è un vero amico. Ha detto che adesso gli interessa solo della mia vetta e che sarà in contatto costante per consigliarmi e sostenermi. Ha affermato che quest’anno il G2 fa paura, veramente impegnativo, ma che crede in me».
04,44 del 20.07 (07,44 in Pakistan)
«Siamo arrivati ora a Campo 1. tempo impiegato: 5 ore e 10 minuti (un’ora e 30 in meno dell’altra volta). Temperatura – 34 °C. Siamo partiti alle 4,28 del mattino. Altitudine 5.907 m, ossigeno è all’85%. Ora l’obiettivo è dormire e mangiare. Domani ci aspetta la parte difficile, detta “la banana”, per salire a Campo 2. È più facile del Nanga Parbat, ma è comunque un bel 52 gradi di pendenza».
Se vuoi rileggere le precedenti puntate:
• Da Milano alla conquista del Nanga Parbat
• Senza ossigeno, con l’entusiasmo della vita
• Mattia Conte, un allenamento alla Rocky Balboa
• Mattia Conte, il mio menù d’alta quota
• Mattia Conte, Nanga Parbat arrivederci!
• Mattia Conte, dramma sul Gasherbrum
Mattia sostiene Eu-Brain
Mattia invita le realtà grandi e piccole che lo stanno sostenendo e quelle che vorranno far salire il proprio vessillo con lui sul tetto del mondo a fare una donazione all’Associazione no-profit Eu-Brain, del dott. Luca Ramenghi, Responsabile U.O.C. Patologia Neonatale dell’Istituto Gaslini di Genova, per la promozione e la ricerca sulle problematiche della neurologia perinatale e dei gravi problemi di ipossia pre e durante il parto.