L’ultima immagine emblematica dell’impatto che i rifiuti di materiali plastici stanno avendo sulla vita marina arriva da Peschici, in Puglia. Una giovanissima verdesca, di circa 60-80 cm di lunghezza è stata pescata nei giorni scorsi con il muso deformato da un piccolo anello di sicurezza in plastica, per intenderci uno di quelli che si usano per assicurare la chiusura dei tappi delle bottiglie. A giudicare dalla profonda ferita simile ad una strozzatura, e visibile nelle foto scattate da Domenico Ottaviano (a cui è stato consegnato l’animale), il cerchietto deve essersi bloccato nel muso già da qualche tempo, provocando un’infezione probabilmente piuttosto dolorosa. Non sono note al momento le cause di morte dello squalo: se esso sia stato ritrovato spiaggiato, o se sia stato pescato ancora vivo, ma la ferita sul muso ed il sanguinamento intraoculare potrebbero suggerire un certo grado di sofferenza e farebbero pensare che le cause di morte potrebbero ricondurre all’incidente con il piccolo oggetto di plastica.
Il problema “marine litter”
Non soltanto squali ma anche pesci, tartarughe, cavallucci marini, cetacei: i rifiuti plastici, presenti ormai in quantità spaventose nei nostri mari, stanno compromettendo la vita di numerosi organismi. Secondo uno studio finanziato dall’Unione Europea e condotto nel Mediterraneo, oltre l’80% del marine litter, ovvero dei rifiuti marini, sono microplastiche che si producono dalla degradazione fisico-chimica di rifiuti plastici finiti in mare. I polimeri, che sono alla base della struttura di questi materiali, si disintegrano fino a rompersi in pezzetti microscopici ed entrano nella catena alimentare di tantissimi organismi marini, creando danni al loro apparato digerente, portandoli all’infertilità, a gravi emorragie interne oppure alla morte. Le plastiche più grandi invece, come dimostrano anche le recenti foto di questa verdesca, possono interagire allo stesso modo in maniera letale: per esempio possono essere ingerite, portando ad un blocco della digestione, oppure possono portare all’annegamento o a difficoltà nel galleggiamento, oppure, come in questo caso, a gravissime malformazioni e ferite.
Progetti e azioni contro i rifiuti plastici nei nostri mari
Secondo l’ultimo rapporto del WWF sono circa 1,25 milioni di frammenti per chilometro quadrato le microplastiche presenti nel Mediterraneo. Un dato spaventoso e superiore di ben 4 volte rispetto a quello del famoso “Great Pacific Garbage Patch” dell’Oceano Pacifico, per il quale tra l’altro, dopo anni di sperimentazione, è partito il famoso progetto “The Ocean Cleanup” ideato dal giovanissimo Boyan Slat, che con una semplice ma innovativa tecnologia intende rimuovere tonnellate e tonnellate di plastica dall’oceano negli anni a venire. Tornando però ai nostri mari, nel porto di Marina di Varazze, da pochissimi giorni è iniziata la fase sperimentale dei “Seabin”, ovvero i cestini mangia-plastica ideati da Pete Ceglinski e Sascha Chapman. Veri e propri contenitori automatici, i Seabin filtrano l’acqua di mare trattenendo particelle fino a 2 mm di diametro e microfibre fino a 0,3 millimetri e riescono a contenere fino ad un massimo di 1,5 kg al giorno. Il dispositivo viene immerso nell’acqua e ancorato ad un pontile: l’acqua viene filtrata e pompata nuovamente in mare con una pompa elettrica, mentre rifiuti e detriti restano bloccati nel vano interno. L’iniziativa in Italia è condotta nell’ambito del progetto Lifegate Plasticless e nelle prossime settimane si estenderà sempre in fase di prova anche nei porti di Marina di Cattolica e Venezia Certosa Marina. Ma altre iniziative riguardano la vera sfida nella pulizia del mare dalla plastica: ovvero i rifiuti sommersi. Si stima che quelle galleggianti siano circa il 30% dei rifiuti plastici presenti in mare, il resto si trovano sul fondo. Un problema che conoscono bene i pescatori, oggi costretti a pescare tonnellate di plastica al giorno e a doverle ributtare in mare: una volta issate a bordo le plastiche sarebbero considerate rifiuto speciale e dunque sarebbero soggette a smaltimento da parte di ditte private specializzate (con i conseguenti costi da sostenere), inoltre, in caso di controllo da parte della autorità militari, si correrebbe il rischio di essere denunciati per traffico illecito di rifiuti. Un’assurdità. Fortunatamente, nell’ambito delle politiche per la riduzione dell’impatto dei rifiuti plastici sull’ambiente, la Commissione Europea sta valutando proprio in questi mesi l’inclusione in una direttiva del comparto della pesca nella lotta alla plastica. Un domani i nostri pescatori potrebbero avere il prezioso ruolo aggiuntivo di “spazzini dei mari”: una missione fondamentale per contribuire a ridurre l’inquinamento da rifiuti plastici e che già sta iniziando a prendere piede con importanti collaborazioni locali tra pescatori, associazioni ambientaliste, aziende e pubblica amministrazione in diverse località del nostro Paese.
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