Si è appena concluso a New York il vertice sul clima organizzato all’ONU. Dopo una delle estati più drammatiche, ambientalmente parlando, degli ultimi anni, con incendi praticamente in tutte le grandi foreste del mondo (dalla Siberia all’Amazzonia, dall’Africa al Sud Est asiatico) e con gli effetti del riscaldamento globale che ormai si stanno palesando in modo macroscopico (si pensi allo scioglimento del ghiaccio artico e di quello della Groenlandia) si sperava che si potesse finalmente assistere ad un deciso cambio di marcia su queste tematiche da parte di una significativa parte dei governi. Almeno di quelli più importanti.
Invece non è accaduto niente di tutto questo, ed anzi sono stati proprio le nazioni più grandi, quelle che tra l’altro producono i maggiori impatti sul processo climalterante in corso, a distinguersi in una sorta di triste “melina”, quando addirittura non si è manifestata una vera e propria ignobile e sprezzante indifferenza.
Quale posizione terranno gli Stati Uniti?
È il caso ad esempio degli Stati Uniti, che sotto la presidenza di Donald Trump si sono sfilati dagli accordi di Parigi del 2015 (ratificati dal predecessore Barack Obama), negando addirittura l’emergenza climatica e riducendo al minimo ogni azione concreta per contrastarla, quando addirittura non hanno ripreso ad alimentarla, introducendo norme sempre più permissive per le aziende americane (es. il rilancio del carbone).
Alla riunione dell’ONU gli USA non hanno richiesto nessuno spazio per fare dichiarazioni ufficiali. Trump si è presentato a sorpresa a metà dei lavori, facendo un passaggio veloce allontanandosi poi dal meeting sul clima per partecipare a un incontro sulla libertà religiosa. Una vera e propria presa in giro!
E i Paesi asiatici?
Il disimpegno degli Stati Uniti sull’emergenza climatica si sta riflettendo sulle scelte di altri grandi paese, favorendone un certo lassismo. Ad esempio la Cina, l’altro grande produttore mondiale di emissioni inquinanti, ha confermato di voler mantenere gli impegni assunti a Parigi, ricordando però che “alcuni paesi” non lo stanno facendo, con un chiaro riferimento agli Stati Uniti.
Alcuni osservatori si aspettavano l’annuncio di nuovi e più incisivi impegni da parte del grande paese asiatico ma ciò non è avvenuto, ed ora tra gli addetti ai lavori si comincia a temere che il rallentamento dell’economia cinese, in parte dovuto alla “guerra commerciale” avviata da Trump con i suoi dazi, possa anzi diventare un ostacolo o un pretesto per rallentare politiche più incisive nella riduzione alle emissioni.
La Russia ha confermato anch’essa di voler ratificare l’Accordo di Parigi, ma non ha specificato come intende ridurre le su emissioni.
Anche l’India, con il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha ribadito di voler aumentare la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2022, ma non ha comunque preso impegni più concreti. Tra l’altro questo paese mantiene un’alta dipendenza dalle centrali a carbone per la produzione di energia elettrica ed è in pieno boom economico, ma senza alcuna vera politica di attenzione all’ambiente.
Su questa strada sono avviati anche molti altri paesi del cosiddetto ex-Terzo Mondo, come ad esempio la Nigeria, dove il boom demografico sta proseguendo in maniera esponenziale, parallelamente ad uno sviluppo totalmente indifferente ai temi dell’ecosostenibilità.
Nonostante tutti i moniti del mondo scientifico e soprattutto gli inequivocabili segni di sofferenza ormai giunta al limite lanciati dal nostro Pianeta, tutti questi paesi in via di sviluppo sembrano voler dire, soprattutto all’Occidente, “voi vi siete arricchiti sfruttando le nostre risorse, ora tocca a noi e non diteci di limitarci!”.
Europa, tanti impegni ma poca concretezza
Infine l’Unione Europea, che al di là di tante belle parole anche in questo caso ha prodotto davvero pochi impegni concreti, forse con l’eccezione della cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha annunciato la chiusura di tutte le centrali elettriche a carbone entro il 2038 ed ha confermato un piano da 54 miliardi di euro per ridurre nel prossimo decennio le emissioni di anidride carbonica del 55 %, rispetto ai livelli del 1990.
Anche l’Italia, presente con il nostro premier e soprattutto con l’attivissimo Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, ha manifestato tutta una serie di buone intenzioni che ora, al rientro dall’America, vedremo se si tradurranno finalmente in azioni concrete.
Insomma, nonostante l’accorato intervento di una Greta Thunberg particolarmente battagliera e giustamente arrabbiata, secondo la maggior parte degli osservatori anche questo vertice sul clima organizzato dalle Nazioni Unite non ha portato a grandi risultati né a veri impegni concreti per invertire la rotta. Ci chiediamo cosa deve succedere perché questo finalmente accada.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com