Dopo aver abbandonato l’uso di pellicce all’interno delle proprie collezioni, sempre più marchi hanno scelto di impegnarsi a favore di una moda maggiormente etica e rispettosa del benessere animale.
Mohair ed angora – un tempo sinonimo di lusso e pregio – potrebbero presto non essere più utilizzati.
L’esempio è stato lanciato da Furla che, dopo aver ufficialmente smesso di impiegare pellicce, ha deciso di consolidare questa scelta aderendo allo Standard Internazionale Fur Free Retailer e integrando la propria policy sui derivati animali con la definitiva esclusione dei due filati.
La sofferenza dietro ai filati
Sebbene la loro produzione non comporti la diretta uccisione dell’animale, angora e mohair sono tra le produzioni più crudeli.
«L’angora, infatti, si ricava dagli omonimi conigli prevalentemente allevati in Cina a cui viene letteralmente strappato il pelo causando sofferenze atroci – spiega la Lav, che ha accolto con grande favore la scelta della casa di moda bolognese –. La lana mohair si ricava da capre e implica una forma di sfruttamento degli animali senza alcun reale controllo del rispetto del loro benessere».
Nessuna tracciabilità per l’ angora
La decisione di Furla di escludere questi due materiali dalla proprie collezioni è stata motivata anche dal fatto che che per l’angora non esiste alcuna certificazione di filiera o tracciabilità, mentre per la mohair le certificazioni esistenti non sono evidentemente attendibili o sufficientemente idonee ad assicurare un adeguato trattamento degli animali.
Di recente, anche il cachemire era finito sotto accusa, dopo che un’inchiesta condotta dall’associazione statunitense Peta aveva mostrato come questo viene prodotto.
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