Politica, nazionalismi e religioni da sempre cercano di piegare la scienza alle proprie “ragioni”. Ora è l’evoluzionismo che torna di nuovo al centro del dibattito.
Enormi bandiere della Turchia, di colore rosso acceso e raffiguranti una stella ed una mezzaluna, sono appese su ogni parete della sala congressi. Sullo sfondo, un grande manifesto di Kemal Ataturk, il padre fondatore della nazione turca, guarda verso il palco. Prima che i relatori inizino a parlare viene intonato l’inno nazionale turco, cantato a squarciagola dal pubblico. Siamo nel centro di Istanbul, a pochi minuti a piedi dal Bosforo, dove si sta tenendo la terza Conferenza Internazionale sulle Origini della Vita e dell’Universo. Teologi, scienziati, sociologi e professori provenienti da tutto il mondo sono giunti in Turchia su invito di Adnan Oktar, detto anche Harun Yahya, un predicatore turco e musulmano sostenitore di Recep Tayyp Erdogan. In quest’occasione Oktar ha invitato decine di ospiti di diverse fedi religiose provenienti dagli Stati Uniti, dalla Germania, dall’Italia, dalla Germania, dalla Svizzera. Come spiega Fabrizio Fratus, ospite italiano al convegno, “tutte queste persone rifiutano la teoria dell’evoluzione proposta da Charles Darwin alla quale oppongono una visione del mondo secondo la quale l’esistenza non è figlia dell’evoluzione delle specie bensì il frutto della creazione di Dio”.
La teoria di Darwin sostiene che l’esistenza dell’uomo e dell’intero ecosistema sono il prodotto dell’evoluzione delle specie. Secondo tale teoria, alla base dell’evoluzione ci sarebbe la “selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita”. Da questa lotta per la sopravvivenza, dipenderebbe lo sviluppo degli esseri viventi. Quelle specie che maggiormente sanno adattarsi ai mutamenti dell’ecosistema ed evolversi in funzione di esso riuscirebbero a sopravvivere a discapito delle specie più deboli. Secondo i darwinisti l’uomo non è dunque una creazione di Dio, bensì un animale che si è sviluppato attraverso la lotta per la sopravvivenza fino a diventare quello che è oggi e che un domani non sarà probabilmente più. A questa visione del mondo si oppongono i creazionisti di tutto il mondo, ossia coloro che, a prescindere dalle diverse fedi, rivendicano la centralità di Dio nella determinazione del creato.
La Turchia bandisce le teorie di Darwin
In questa sala nel cuore di Istanbul si riuniscono una vota all’anno alcuni tra i maggiori oppositori mondiali al darwinismo. La scelta del luogo non è casuale. Nel 2017 la Turchia ha bandito l’insegnamento della teoria dell’evoluzione dalle facoltà scientifiche delle proprie università. Gli studi di Darwin vengono oggi insegnati soltanto nei dipartimenti umanistici e considerati non come teorie riconosciute bensì come dissertazioni filosofiche prive di riscontri scientifici. Ankara mostra dunque di avere una sensibilità particolare per questo tema, con il fine di diffondere una visione dell’esistenza non fondata sul progresso scientifico bensì sulla creazione voluta da Dio. Dunque Allah, ritorna a essere il cuore e il motore della vita. In questo modo viene legittimata la visione dell’esistenza che Erdogan e le confraternite religiose a lui vicine stanno lentamente diffondendo nel Paese. Una visione che sta progressivamente reintroducendo l’Islam nella vita pubblica e istituzionale, che propone una sintesi tra il nazionalismo turco e la religione islamica e che vede in Dio, dunque nell’Islam, il cuore pulsante della vita della nazione.
La Turchia non è però la sola. Le teorie di Darwin sono rifiutate ufficialmente anche dall’Arabia Saudita, da Hezbollah, dai movimenti musulmani salafiti e da molti di quelli cristiano-evangelici ed ebraici occidentali. Secondo tutti questi soggetti il darwinismo conterrebbe in sé le radici di tutte le principali ideologie novecentesche – liberalismo, comunismo e nazionalismo – e delle tragedie a loro connesse. Con la fine del “secolo delle ideologie” queste ultime si sarebbero estinte, pertanto ai loro occhi è necessario voltare pagina, contestare l’evoluzionismo e porre le basi per una nuova forma di esistenza che affronti la modernità riponendo Dio al centro della vita.
Il darwinismo e il liberalismo
I creazionisti sostengono che la diffusione delle teorie di Darwin nel diciannovesimo secolo abbia fornito legittimità scientifica alla filosofia materialista e che aveva visto nei suoi teorizzatori alcuni dei più importanti filosofi moderni. Tra di essi i precursori del pensiero liberale quali Thomas Hobbes – il principale teorico dell’assolutismo che proponeva una visione meccanicistica del mondo in cui ogni individuo è nemico e concorrente del prossimo – e John Locke, il padre del liberalismo progressista di stampo anglosassone. A questa corrente di pensiero appartengono anche filosofi ed economisti, tra cui il britannico Thomas Robert Malthus, secondo cui la società si fonda su una violenta “guerra permanente” tra gli individui, in cui alcuni devono morire perché altri possano sopravvivere e in cui guerre e carestie sono necessarie per controllare e determinare la rapida crescita della popolazione mondiale. Si tratta di un’arcaica visione dell’odierna dottrina economica liberale, che prevede l’abbattimento di ogni struttura statuale e istituzionale che ostacoli la libera concorrenza tra individui e compagnie e che concepisce le crisi economiche e finanziarie come un mezzo indispensabile per ottenere questo nuovo ordine sociale, come ha spiegato in tempi non sospetti l’ex premier italiano Mario Monti.
Queste teorie influenzarono i pionieri della biologia evoluzionista come Alfred Russel Wallace e, appunto, anche Darwin.
Il darwinismo e Hitler
La teoria darwiniana della sopravvivenza fu assunta da molti scienziati dell’Ottocento e del primo Novecento che ritenevano che l’umanità avesse raggiunto vari livelli di evoluzione che culminavano nella civiltà dell’uomo bianco e occidentale. In particolare, secondo questi, alcuni scritti di Darwin che avrebbero suggerito l’applicazione della lotta per la sopravvivenza anche ai gruppi razziali umani. Particolare enfasi venne posta su un passaggio di Darwin contenuto nel suo libro “The Descent of Man”. «Le razze civilizzate dell’umanità quasi certamente stermineranno e sostituiranno le razze selvagge di tutto il mondo. Allo stesso tempo le scimmie antropomorfe saranno senza dubbio sterminate. La separazione tra l’uomo e i suoi alleati più prossimi diventerà così più ampia perché dividerà l’uomo in uno stato più civilizzato, possiamo sperare, dello stesso tipo caucasico, da qualche scimmia in basso quanto il babbuino anziché separare, come fa oggi, il negro o l’australiano dal gorilla». Quasi tutti gli storici sono concordi sul fatto che l’interpretazione di questi passaggi abbia influenzato Adolf Hitler in alcuni suoi capisaldi ideologici come la “selezione naturale”, gli “accoppiamenti selettivi” e appunto la “lotta di sopravvivenza tra le razze” e di “nuova gerarchia razziale stabilita dalla stessa natura”. Lo stesso titolo del suo libro, il “Mein Kampf” (la mia lotta) è ispirato alla lotta per la sopravvivenza tra le razze che, per non soccombere, dovevano ai suoi occhi sopprimere quelle concorrenti come riteneva fossero gli ebrei per i tedeschi.
Il darwinismo e il comunismo
Lo stesso principio darwiniano di lotta per la sopravvivenza che Hitler applicò al concetto di razza venne applicato dei principali teorici del comunismo e del materialismo dialettico al concetto di classe sociale. Mentre per i nazionalsocialisti sono le razze ad essere in reciproca lotta, i comunisti ritengono che lo siano le diverse classi e che una di queste, il proletariato, si affermerà annientando le altre. Lo stesso Karl Marx scrisse nell’edizione tedesca de “Il Capitale” di essere un “devoto ammiratore di Darwin”, che viene anche elogiato in diversi scritti di Friedrich Engels, di Trotzky e di Mao Tsetung, secondo il quale “il socialismo cinese si fonda su Darwin e sulla teoria dell’evoluzione”. Inoltre il darwinismo nega che l’esistenza sia frutto di un progetto divino e fornisce pertanto una legittimità a tutte le ideologie atee di cui il comunismo è il primo interprete.
La rivincita di Dio
Nonostante nella prima metà del Novecento tanto le élite conservatrici quanto quelle progressiste fossero convinte che con l’avvento della modernizzazione economica e sociale sarebbero scomparse le religioni intese come elemento significativo dell’esistenza umana, negli ultimi anni stiamo assistendo a quella che Gilles Kepel ha definito la “rivincita di Dio”, ossia una generale rinascita del sentimento religioso ad ogni latitudine e all’interno di ogni cultura. Secondo il politologo americano Samuel Huntington, con il crollo delle ideologie e dei sistemi ad esse connessi che offrivano alle persone identità e autorità si è affermata una civiltà moderna che però stenta a fornire risposte esistenziali. Al vuoto ideologico e valoriale lasciato in eredità dal Novecento hanno cercato di rimediare alcuni gruppi e organismi internazionali occidentali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale che propongono dottrine delle neo-ortodossia economica e della democrazia politica. La crisi economico-finanziaria e la ridefinizione del concetto di identità personale e collettiva che è in corso in tutto il mondo stanno però spingendo molte persone a distaccarsi dai valori laici della modernità per cercare di recuperare il concetto di sacralità, anche a costo di cambiare la società stessa. Tale rinascita religiosa ha in parte comportato l’espansione di alcune religioni, in particolare quelle che offrono, appunto, maggiori risposte spirituali, anche in società in cui erano precedentemente del tutto assenti. La religione viene dunque a sostituire l’ideologia e il nazionalismo religioso soppianta quello laico.
Sempre Huntington interpreta il ritorno delle religioni come una minaccia che conduce allo scontro tra diverse civiltà. La Turchia di Erdogan sta utilizzando il ritorno della religione come strumento per rafforzarsi sul piano interno ed internazionale, sfruttando l’affermazione della struttura sempre più multipolare del globo per rivendicare una propria centralità e un nuovo protagonismo che sarebbe stato impensabile durante la Guerra Fredda. Da un lato Ankara rivendica una forte autonomia dagli Stati Uniti come da tutti gli altri grandi protagonisti della politica mondiale, dall’altro promuove una sintesi tra nazionalismo turco e religione islamica che supera le vecchie contrapposizioni ideologiche novecentesche. In questo modo il governo turco si sta ponendo come punto di riferimento non solo per i propri cittadini, bensì per tutti i musulmani del mondo. Si tratta di una strategia definita “panislamista” che utilizza la religione come collante sociale per raggiungere i propri obiettivi di politica internazionale.
L’ampio spazio che il governo di Erdogan concede a gruppi come quello di Adnan Oktar sembra dunque rispondere alla volontà di fondere la dimensione religiosa con il nazionalismo turco per utilizzarli come strumento di coesione sociale interna e come strumento di soft power sul piano internazionale. A farne le spese sono le teorie di Darwin, per le quali sembra esserci sempre meno spazio all’interno della nuova società che il leader turco vuole forgiare.
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