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Il nostro amico Mattia Conte ha conquistato la vetta del Gasherbrum II (noto anche come K4, alto 8.035 m), la tredicesima montagna più alta della Terra e il suo secondo personale Ottomila. È arrivato sulla vetta questa notte (alle 2 ora italiana del 24 luglio), ha trovato vento fortissimo e temperatura di -30 °C. È riuscito a comunicare solo ora che è ridisceso fino a Campo 4.
La prima reazione è di sollievo, perché in redazione eravamo tutti molto preoccupati per la sua incolumità, alla luce anche dei recenti incidenti sugli Ottomila himalayani.
Stiamo aspettando il suo racconto e le sue foto (questa pubblicata è dello scorso anno, quando Mattia ha conquistato il suo primo Ottomila, il Manaslu, 8.163 m), che potrà mandarci quando raggiungerà un luogo con connessione Internet. Il contatto e la notizia del successo, infatti, li abbiamo ottenuti attraverso messaggi di testo inviati con il suo localizzatore satellitare Garmin.
Quella di Mattia, a mente fredda, è una bella impresa. È vero che oggigiorno sono decine gli alpinisti che raggiungono le vette degli Ottomila arrampicando senza ossigeno – non stiamo parlando, qui, del turismo d’alta quota con bombole d’ossigeno, portatori, campi e vie preattrezzati… -, ma questi sono tutti professionisti, che vivono la montagna 365 giorni all’anno e che hanno anni e anni di esperienza. E anche loro spesso rinunciano o falliscono, perché, come dice Mattia «Non sei tu che scali la montagna, è lei che decide di accoglierti». Mattia, per quanto si sia allenato e preparato con dedizione maniacale e passione sconfinata per la montagna, frequenta i ghiacciai da poco meno di due anni.
Avvocato, velista, “cittadino” prestato all’alta quota, la sua avventura, oltre alla gratificazione personale, all’incontro mistico tra l’individuo e la montagna, è interessante da studiare per comprendere come fisico e mente dell’uomo possano adattarsi, in così breve tempo, a prove estreme fino a poco tempo fa inimmaginabili.
Basti pensare che negli anni Cinquanta le salite agli Ottomila apparivano imprese memorabili ed eroiche, pur utilizzando ogni mezzo tecnico a disposizione per vincere la montagna: nel 1954, per esempio, la spedizione italiana al K2 guidata da Ardito Desio, che ha portato in vetta Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il supporto fondamentale di Walter Bonatti, era costituita, oltre che da un gran numero di portatori utilizzati per portare il materiale della spedizione al Campo base, da 30 componenti. E in quota, gli alpinisti usarono l’ossigeno. Quindi, che oggi un alpinista amatoriale come Mattia Conte possa raggiungere le stesse vette da solo e senza ossigeno, fa riflettere.
La salita sul Gasherbrum II
Designato dai cartografi come K4, il Gasherbrum II è situato nella catena montuosa del Karakorum, in Himalaya. Non è ben chiaro il significato del nome: “montagna lucente”, “monte bello” o “picco del tramonto”. Dal Campo base, alla confluenza del ghiacciaio meridionale del Gasherbrum con il ghiacciaio degli Abruzzi, il dislivello totale fino alla vetta (8035 m) è di circa 2700 m.
Mattia è salito durante l’ultima finestra di tempo utile prima dell’arrivo dei monsoni. Qualunque ritardo o intoppo lo avrebbero obbligato a rinunciare.
In attesa del suo racconto, possiamo pensare che sia salito lungo la via degli Austriaci, quella della prima ascesa del 1956.
La prima parte, fino ai 5.907 m del Campo 1 attraversa la parte centrale del ghiacciaio sud del Gasherbrum ed è molto insidiosa per la presenza di crepacci e seracchi. Per attraversarla è necessaria un’ottima visibilità ed essere legati in cordata. Mattia ci ha impiegato 5 ore e 10 minuti.
Da Campo 1 a Campo 2 si sale lungo la cosiddetta “banana”, un ripido pendio che Mattia descrive come «più facile del Nanga Parbat, ma comunque un bel 52 gradi». Campo 2 è a 6.428 m e Mattia ha impiegato 6 ore e 20 minuti per raggiungerlo. Qui gli alpinisti russi e i due cechi che stavano salendo con Mattia hanno rinunciato, ed è rimasto solo a proseguire.
Si continua, poi, a salire lungo la cresta per raggiungere una spalla a 6.950 m. Siamo ai piedi della piramide sommitale, a Campo 3, 7.050 m.
Poi il programma di Mattia prevedeva di superare Campo 4 e proseguire in una sola tirata fino alla vetta, lungo il traverso diagonale e la cresta finale. Però, dopo Campo 3 si sono interrotte le comunicazioni di messaggistica con il satellitare, quindi siamo rimasti in trepidante attesa nel silenzio. Il GPS lo localizzava a Campo 4, a 7.404 m, alle 6, 29 (9,29 ora del Pakistan) di martedì 23 luglio.
Se vuoi rileggere le precedenti puntate:
• Da Milano alla conquista del Nanga Parbat
• Senza ossigeno, con l’entusiasmo della vita
• Mattia Conte, un allenamento alla Rocky Balboa
• Mattia Conte, il mio menù d’alta quota
• Mattia Conte, Nanga Parbat arrivederci!
• Mattia Conte, dramma sul Gasherbrum
• Mattia Conte, senza ossigeno è dura!
Mattia sostiene Eu-Brain
Mattia invita le realtà grandi e piccole che lo stanno sostenendo e quelle che vorranno far salire il proprio vessillo con lui sul tetto del mondo a fare una donazione all’Associazione no-profit Eu-Brain, del dott. Luca Ramenghi, Responsabile U.O.C. Patologia Neonatale dell’Istituto Gaslini di Genova, per la promozione e la ricerca sulle problematiche della neurologia perinatale e dei gravi problemi di ipossia pre e durante il parto.